Un intervento dietetico mirato, combinato con integratori di olio di pesce, potrebbe rallentare la crescita delle cellule tumorali negli uomini con cancro alla prostata in fase iniziale. È quanto emerge dallo studio CAPFISH-3, presentato al Simposio sui Tumori Genitourinari dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) del 2025. I risultati, seppur preliminari, aprono nuove prospettive sull’importanza della nutrizione nella gestione della malattia.

Lo studio di fase 2, condotto da William Aronson dell’Università della California (UCLA), ha coinvolto 100 uomini con carcinoma prostatico di grado 1/2 in sorveglianza attiva, un approccio che monitora la malattia senza trattamenti invasivi immediati. I partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi: uno ha seguito una dieta povera di acidi grassi omega-6 (presenti in cibi fritti e processati) e ricca di omega-3 (come salmone e tonno), integrata con 2,2 g al giorno di olio di pesce; l’altro ha mantenuto la propria alimentazione abituale. L’obiettivo era valutare l’impatto sul biomarcatore Ki-67, indicatore di proliferazione cellulare e prognosi tumorale.

Dopo un anno, nel gruppo con dieta specifica si è osservata una riduzione del 15% dell’indice Ki-67, contro un aumento del 24% nel gruppo di controllo, con una differenza statisticamente significativa (p=0.043). Questo suggerisce un potenziale effetto protettivo contro la progressione del cancro. Sono emersi anche benefici collaterali, come la diminuzione dei trigliceridi e del fattore stimolante le colonie di macrofagi (associato alle metastasi), mentre parametri come volume tumorale, PSA e punteggio Decipher 22 non hanno mostrato variazioni.

Bradley Alexander McGregor del Dana-Farber Cancer Institute, pur definendo i dati “intriganti”, sottolinea la necessità di studi più ampi e a lungo termine: “L’intervento è stato aggressivo, richiedendo cambiamenti dietetici rigorosi e integrazione. I pazienti devono essere altamente motivati”. Quattro partecipanti hanno abbandonato lo studio per effetti gastrointestinali (diarrea, nausea), evidenziando l’importanza di valutare la tollerabilità in futuri trial.

Le evidenze scientifiche suggeriscono che gli omega-3 inibiscano i macrofagi M2, coinvolti nelle metastasi, mentre gli omega-6 possano accelerare la crescita tumorale. “Questo studio rafforza l’ipotesi che modificare il profilo lipidico alimentare possa influenzare la biologia del cancro”, spiega Aronson, auspicando sperimentazioni di fase 3.

Sebbene i risultati siano incoraggianti, gli esperti concordano: non è ancora il momento di raccomandare questa dieta a tutti i pazienti. Tuttavia, per uomini altamente motivati in sorveglianza attiva, l’approccio potrebbe essere considerato dopo un’attenta discussione su benefici attesi, limiti dei dati e possibili effetti collaterali. La strada per trasformare l’alimentazione in terapia oncologica è ancora lunga, ma studi come CAPFISH-3 accendono un faro su un futuro in cui dieta e scienza collaborano per combattere il cancro.