Assorbiamo, inerti, la difficoltà nel comprendere un testo o un discorso, non per gravi ragioni legate alla cosiddetta “ignoranza funzionale” ma poiché si rilevano (intuiscono) una serie di fratture logiche che non permettono di ricostruire il ragionamento che starebbe dietro al pensiero che qualcuno ci comunica. In uno scritto, una notizia, un’intervista, una monografia, e fino a questioni e teorie più complesse che si cercano di promuovere come, ad esempio, soluzioni a determinati problemi.
Non capiamo. E archiviamo il disagio.
Facciamo subito un esempio con un’intervista di ieri a cura di Adnkronos, dove, tra gli altri, un esperto commentava positivamente la decisione del nuovo ministro della sanità di rendere il bollettino Covid settimanale. Queste le parole: «E' il tempo di ragionare sui trend e non sui dati giornalieri che spesso creano confusione soprattutto dopo il weekend. Personalmente già mi sono orientato su questa scelta, osservando i trend mensili della curva Covid».
Perché, dunque, quest’esperto sarebbe d’accordo? Lo avete compreso il suo pensiero?
Scrivetelo nei commenti. Chiaramente vi anticipo che non è un pensiero sensato. Egli concorda col ministro attraverso una ragione apparente, ma priva di senso logico. Ne discende che gli si crederà per tendenza (la propria posizione sul tema) e non perché l’esperto in questione sia stato chiaro.
In maniera colorita possiamo chiamarle “supercazzole”.
Quando queste nascono per scopi d’intrattenimento suscitano grande divertimento; mentre si rimane intontiti quando la loro genesi è seria e non ci sarebbe davvero nulla da ridere.
In psicologia questo genere d’intontimento è chiamato “dissonanza cognitiva”.
Non si verifica solo nell’atto di comprendere un pensiero, ma anche quando nella quotidianità si vivono situazioni altamente contrastanti e incompatibili tra loro, come osservare un mendicante sofferente a margine dell’opulente via dello shopping. Il messaggio visivo che ne deriva non viene elaborato dalla nostra mente affinché abbia una spiegazione plausibile, e rimane latente provocando fastidio (il tipo di fastidio e soluzione dipende dal ceto socio-culturale).
Potremmo fare altri esempi ma oggi ci limitiamo al solo caso della comunicazione e comprensione del pensiero.
Ad ogni modo, avvertire questo disagio è un ottimo segno. Perché significa che siamo in grado di percepire che nel messaggio c’è qualcosa di “sbagliato”, ma che ancora non riusciamo a definire. E ciò va anche distinto da chi avverte lo stesso disagio perché non riesce a capirlo a causa di propri limiti intellettuali (l’ignorante in senso lato, lo stupido, etc.).
Nella comunicazione, quando ad esempio si scrive un testo come questo, è fondamentale trasferire in esso la massima coerenza logica tra gli argomenti che si sviluppano, tipicamente composti da idee, concetti, giudizi e sensazioni. Sono tutti elementi posti all’analisi di qualcosa o qualcuno, rendendolo comprensibile a chi lo leggerà.
Non è semplicissimo farlo, e anche prestando molta attenzione si è inclini a fallire. Bisogna essere particolarmente attenti alle parole e al rigore che deve acquistare il ragionamento, ponendo ciascun elemento nel giusto dominio e spazio affinché l’analisi proceda il più possibile coerente, scorrevole, e giunga a conclusione.
Il famoso filosofo Immanuel Kant impiegò parecchi anni per mettere a fuoco e riuscire a comunicare il suo pensiero sull’altrettanta famosa opera “La critica della ragion pura”, che sarebbe peraltro molto affine al nostro discorso. Fece vari tentativi nell’uso di espedienti linguistici che gli permettessero di comunicare al meglio la sua opera.
Ernst Cassirer, filosofo e biografo di Kant, osservò:
Gli espedienti della chiarezza servono nelle parti, ma spesso pregiudicano all’insieme, perché non permettono al lettore di giungere con sufficiente rapidità a una veduta generale del tutto, e coi loro vivaci colori nascondono e rendono irriconoscibili l’articolazione e la struttura del sistema, che è pure quello che più importa, a chi voglia poterne giudicare l’unità e la bellezza. (Vita e dottrina di Kant, 1918).
In altre parole è necessario introdurre in maniera chiara (con espedienti ed esempi) gli aspetti generali del discorso ma poi procedere spediti e con rigore verso il tema da comunicare.
Kant alla fine scelse proprio la via del rigore, quasi usando il lessico come una serie di elementi e formalità matematiche. Ed è senz’altro riuscito a comunicare quel particolare pensiero complesso, che molti chiamano “rivoluzione Copernicana di Kant”; ma la “Critica della ragion pura” rimane comunque una delle opere di filosofia più astruse per i neofiti. Kant stesso ne fu talmente consapevole che qualche anno dopo scrisse i meno noti “Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza”, offrendoli come una sorta di chiave per comprendere al meglio la sua opera prima.
Qui non siamo chiamati a capire per forza il pensiero di Kant, ma perlomeno a essere capaci di distinguere un pensiero sistematico e consistente da una delle tante supercazzole dei nostri giorni!
Oggi infatti non parliamo dell’opera di Kant in sé, ma attraverso questa si voleva solo dare rilievo ai due aspetti di cui stiamo parlando:
- attraverso l’esperienza di Kant, ACCERTARE come un pur complesso e articolatissimo pensiero (direi: estremo) è comunicabile con successo, e lo è tanto nella sua chiarezza quanto nella coerenza di ogni idea, concetto, giudizio e sensazione, espressi così da renderne facile la comprensione e il contro esame;
- attraverso la dissonanza cognitiva che spesso ci pervade, ACCERTARE la scarsa (molto scarsa) capacità odierna di distinguere tra una supercazzola e un ragionamento sistematico e consistente per situazioni enormemente più elementari di quelli che ha affrontato Kant.
Sul secondo punto è importante una precisazione.
E’ logico farsi venire in mente che taluni aspetti della comunicazione riguardino solo le più alte figure intellettuali. E quindi è normale se non capiamo Kant, mentre “dissoniamo” prendendo sul serio le supercazzole. Anche perché – e finora non l’abbiamo detto – le supercazzole sono spesso confezionate da esperti e fini dicitori, come anche politici e personaggi vari che si atteggiano a opinionisti di elevata statura (così, almeno, vengono presentati) la cui retorica propagandistica è artatamente sfuggente.
Che ne dite. Ci giustifichiamo così e la chiudiamo qui?
No! Perché non è affatto logico farsi venire in mente un qualunque limite culturale. Andava bene nel contesto di qualche secolo fa, quando l’ignoranza imperava e la cultura era una questione elitaria, per cui il ragionamento sensato aveva ruolo solo in certi salotti.
Oggi non esistono molte giustificazioni essendo la cultura alla portata di tutti.
Al di la della buona volontà di ciascuno nell’autoformarsi, le responsabilità esterne comunque esistono. Probabilmente vorrà pensarci il nuovo ministro del “merito”, iniziando a vagliare quale sia oggi il merito di una scuola manifestamente incapace a formare gli studenti in maniera da renderli veramente capaci di esprimere concetti complessi, analizzare con sapienza il pensiero altrui, e dunque porsi da ottimi ragionatori!
Il ministro troverà certamente più demeriti che meriti; ma la buona notizia è che non sarebbe così difficile ribaltare questa cultura dell’ignoranza. Io però temo – con sempre maggior convinzione – che faccia davvero paura proiettare i cittadini a un livello più alto di consapevolezza. Chissà, dunque, quale sarà il “merito” che ha in mente il ministro e questo nuovo governo. Staremo a vedere.
Nel frattempo riassumiamo bene la faccenda, affinché diventi veramente cristallina la causa del “rimanere intontiti” quando si riceve una comunicazione che non si riesce a elaborare bene, oppure che si accetta senza capire. Ora vi sarà chiaro che i casi sono due: o siamo in preda alla dissonanza cognitiva, con una via d’uscita possibile; oppure siamo sgominati da un’ignoranza molto più radicata e profonda, ed uscirne in questi casi è ben più arduo, molto improbabile.
Nell’ultimo caso, prevenire è compito dei genitori.