Una recente ricerca condotta da ricercatori della Columbia University di New York ha indagato le variabili associate ai tempi di recupero dall’infezione da SARS-CoV-2. Il lavoro, pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, è stato condotto con l’obiettivo di determinare il tempo di guarigione dopo l’infezione, e identificare i fattori associati al recupero entro 90 giorni.

La sindrome del long COVID, definita appunto dalla mancata guarigione nell’arco dei 90 giorni successivi all’infezione, e caratterizzata dal persistere di sintomi e disabilità anche dopo la fase acuta, è un evento frequente con risvolti importanti in termini di carico personale e sociale.

I ricercatori hanno utilizzato i dati di 4.708 partecipanti a 14 programmi di ricerca già esistenti; tra questi il Framingham Heart Study, attivo da 76 anni e mirato a identificare i fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Altri studi considerati sono stati l’Atherosclerosis Risk in Communities Study, avviato a metà degli anni ’80, e ricerche incentrate su coorti di giovani adulti con patologie cardiovascolari e individui con malattia polmonare cronica ostruttiva.

Nel complesso, la maggior parte dei 14 studi considerati avevano all’attivo 10-20 anni di raccolta dati sulla salute cardiovascolare dei soggetti arruolati; questo, secondo l’autrice Norrina B. Allen, della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago (Usa), rende la ricerca particolarmente robusta e idonea a valutare i fattori di rischio preesistenti l’insorgenza di Covid-19, e il loro impatto sul processo di guarigione.


Recupero statisticamente più lento per le donne e i cardiopatici

Complessivamente, la durata media del recupero è risultata di 20 giorni, ma il 22% dei partecipanti ha riportato sintomi persistenti anche a distanza di tre mesi dall’infezione. In particolare, i pazienti con malattie cardiovascolari pregresse, come infarto o ictus, hanno presentato un rischio maggiore di long Covid rispetto alla popolazione generale.

Per quanto riguarda il tempo medio di guarigione, i pazienti che hanno richiesto cure ospedaliere critiche hanno impiegato circa 57,6 giorni per recuperare, rispetto ai 32,9 giorni di quelli per cui è stato possibile gestire la malattia a livello domiciliare/ambulatoriale. Inoltre, l’aver ricevuto una vaccinazione prima dell’infezione e aver contratto la malattia durante l’ondata della variante Omicron, sono risultate variabili associate a tempi di recupero entro i 90 giorni dall’infezione. Le differenze nei tempi di recupero risultano comunque legate anche alla gravità dell’infezione iniziale.

Il recupero è inoltre risultato sfavorevolmente associato al sesso femminile (HR: 0,85; IC al 95%: 0,79-0,92) e alla presenza di malattia cardiovascolare prima della pandemia (HR: 0,84; IC al 95%: 0,71-0,99). Quindi, le donne, e gli adulti che già prima della pandemia si trovavano in uno stato di salute cardiovascolare non ottimale, presentavano un rischio più alto di avere tempi di recupero superiori ai 90 giorni, rispettivamente del 15% e 16%.

Non sono state invece osservate associazioni significative per età, livello di istruzione, fumo, obesità, diabete, malattia renale cronica, asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva o sintomi depressivi elevati. I risultati sono stati simili per le reinfezioni.


L’importanza di promuovere la vaccinazione

Il collegamento tra malattia cardiovascolare e long Covid, non ha stupito i ricercatori. Afferma la ricercatrice Elizabeth C. Oelsner, del Columbia University Irving Medical Center di New York:

“Sapevamo che le persone con malattia cardiovascolare erano a maggior rischio di infezioni acute più gravi, e abbiamo anche osservato che le infezioni lunghe e gravi portavano a sintomi persistenti”.

Questo sottolinea l’importanza di indirizzare questi pazienti a programmi di prevenzione e all’eventuale uso di antivirali, per ridurre il rischio di eventi avversi e aumentare le probabilità di un rapido recupero.

In questo senso, lo studio suggerisce che interventi per ridurre la gravita dell’infezione acuta, come la vaccinazione, potrebbero contribuire a mitigare l’aumentato rischio di sintomi persistenti osservato nelle donne e negli adulti con precedenti problemi di salute, e incoraggia i medici a informare i pazienti a rischio elevato sull’importanza di adottare le opportune misure per evitare di sviluppare il long Covid, come sottoporsi ai richiami vaccinali ed  evitare i luoghi molto affollati.



Fonte:
oelsner_2024_oi_240574_1720621057.14997.pdf
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