Esteri

Il Ruanda non è un Paese sicuro: la Corte d'Appello annulla la decisione del governo britannico di trasferirvi i migranti

La ong Asylum Aid si era appellata contro la decisione del governo britannico di inviare i richiedenti asilo in Ruanda. I giudici della Corte d'Appello hanno sentenziato che il Ruanda non ha fornito sufficienti garanzie per dimostrare di essere un "Paese sicuro". Pertanto, come ha confermato lo stesso premier Rishi Sunak, il piano del governo è stato per il momento bloccato.

Il primo ministro ha ovviamente detto di non esser d'accordo con la sentenza, aggiungendo che sarà impugnerà presso la Corte Suprema:

"Credo fermamente che il governo ruandese abbia fornito tutte le garanzie necessarie per assicurare che non ci sia un reale rischio che i richiedenti asilo trasferiti secondo la politica del Ruanda siano erroneamente rimpatriati in paesi terzi, riporta la sentenza.Il Ruanda è un paese sicuro. Lo ha riconosciuto anche l'Alta Corte. L'UNHCR ha il proprio programma di rifugiati per i rifugiati libici in Ruanda. Ora chiederemo il permesso di appellare questa decisione presso la Corte Suprema".

La causa è stata presentata da 10 persone provenienti da Siria, Iraq e Albania, che sono arrivate nel Regno Unito a bordo di piccole imbarcazioni, con il sostegno di Asylum Aid.

L'Alta Corte, in precedenza, aveva appoggiato la decisione del governo. Stavolta, però, la normativa è stata esaminata dai giudici della Corte d'Appello, che con due opinioni a favore e una contraria hanno concluso che le garanzie fornite dal governo ruandese non erano "sufficienti ad evitare che non vi sia un reale rischio che i richiedenti asilo trasferiti secondo la politica del Ruanda siano erroneamente rimpatriati in Paesi in cui subirebbero persecuzioni o altri trattamenti disumani".

Hanno poi aggiunto che l'invio di richiedenti asilo in Ruanda sarà illegale "a meno che e finché le carenze nei processi di asilo [del governo] non vengano corrette".

Il piano di inviare le persone che arrivano illegalmente nel Regno Unito in Ruanda era stato presentato per la prima volta nell'aprile 2022. A dicembre, l'Alta Corte aveva deciso che il piano non violava la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati.

A gennaio, però, alcune delle persone coinvolte in quella causa sono state autorizzate a fare appello. Adesso la nuova sentenza stabilisce che, fino a quando il governo ruandese non sarà in grado di dimostrare che è un luogo sicuro per i rifugiati, la politica di immigrazione del governo britannico violerà l'articolo tre della Convenzione per i diritti umani, che protegge dalla tortura.

La premier Meloni, in un incontro con Sunak, si era congratulata con il premier britannico per la "pensata" di trasferire i migranti dal Regno Unito al Ruanda.

E per copiarlo, la presidente del Consiglio, coinvolgendo l'Ue, è andata in Tunisia per dargli seguito. Il presidente tunisino Kais Saied, però, al di là dei convenevoli legati alle relazioni diplomatiche, non si è convinto.

Oltretutto, come ci ricordano  Amnesty International, Human Rights Watch, International Commission of Jurists e International Service for Human Rights, la situazione dei diritti umani in Tunisia è tale da non offrire garanzie neppure ai residenti... figuriamoci a dei migranti!

Le quattro organizzazioni sopra citate, infatti, hanno chiesto al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di premere sulle autorità tunisine affinché pongano fine al giro di vite nei confronti del dissenso pacifico e della libertà d'espressione, annullino le accuse nei confronti di coloro che sono sotto processo solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani e li scarcerino, avviino un'indagine imparziale, esaustiva, indipendente e trasparente sull'ondata di violenza contro migranti, richiedenti asilo e rifugiati dell'Africa subsahariana, processino i presunti responsabili e forniscano riparazione e accesso alla giustizia alle vittime delle violazioni dei diritti umani.

Negli ultimi due anni la situazione dei diritti umani in Tunisia è significativamente peggiorata. Le garanzie sull'indipendenza del potere giudiziario sono state annullate, giudici e pubblici ministeri sono stati arbitrariamente licenziati e l'esecutivo ha interferito sempre più nei procedimenti penali. Avvocati vengono processati solo per aver svolto le loro attività professionali e per l'esercizio del loro diritto alla libertà d'espressione.

Dal febbraio 2023 sono almeno 48 le persone arrestate e indagate, in assenza di prove credibili di qualsiasi reato, per la loro opposizione politica o per aver criticato il presidente tunisino. Sono accusati di cospirazione contro lo stato, minaccia alla sicurezza nazionale e, in almeno 17 casi, di reati di terrorismo ai sensi della legge antiterrorismo del 2015.

Inoltre, col pretesto di "contrastare reati riguardanti i sistemi dell'informazione e della comunicazione", che il Decreto legge 54 punisce con pene fino a 10 anni di carcere e multe elevate, almeno 13 tra giornalisti, oppositori politici, avvocati, difensori dei diritti umani e attivisti sono sotto indagine e potrebbero essere rinviati a processo.

Il 23 giugno Volker Turk, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha chiesto alle autorità tunisine di porre fine alle limitazioni alla libertà di stampa e alla criminalizzazione dei giornalisti indipendenti.

Naturalmente, di cosa sta accadendo in Tunisia Giorgia Meloni non si è ancora accorta... e con la sua storia non c'è da stupirsene.

Autore Antonio Gui
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