Il futuro delle proteste in Iran. Davide Romano intervista Ashkan Rostami
Ashkan Rostami è nato a Teheran. Ha partecipato alle rivolte del 2009 contro le truffe elettorali del regime degli ayatollah. In Iran la situazione si era fatta difficile per lui, e così dovette andarsene. Vive in Italia dal 2015. Fa parte del Consiglio di transizione dell’Iran, un organismo che raggruppa partiti politici e gruppi di interesse iraniani che sono contrari al regime teocratico e lavorano per costruire un’alternativa democratica. Informazione Corretta lo ha intervistato in esclusiva.
Ci stiamo avvicinando al 16 settembre, anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini per mano della polizia religiosa del regime. Un evento che ha acceso le coraggiose proteste degli iraniani che abbiamo tutti visto. Purtroppo in questi giorni il regime sta tornando a imporre il velo, dopo un primo alleggerimento dettato dalla forza della rivolta. Che giudizio dà della situazione attuale in Iran? C'è ancora speranza di abbattere il regime? Ovviamente l’uccisione di Mahsa Amini era una scintilla che ci aspettavamo a partire dal 2019, sapendo che la società iraniana è pronta per un cambiamento e ormai - dopo il periodo disastroso della pandemia - l’Iran è diventato come una bomba a orologeria. In realtà la polizia morale non è stata mai abolita, al contrario di quello che tanti media occidentali volevano farci credere, ma semplicemente ha cambiato il modo: cioè esisteva, ma solo come una forza non ufficiale di polizia. Adesso che la rivoluzione dopo quasi 4 mesi di proteste dure, è entrata in una fase di recupero delle forze e riorganizzazione, il regime ovviamente sente di farsi vedere ancora una volta con il pugno di ferro. Specialmente nelle parti grigie della società, cioè la parte dove le persone sono ancora indecise o semplicemente hanno paura. Ma è chiaro che queste decisioni non aiuteranno il regime islamico e anzi, peggioreranno la loro situazione. Uno dei motivi per cui il regime ha ritrovato il coraggio è stato il mancato supporto dell’occidente alla rivoluzione iraniana in corso. Un occidente che addirittura dopo una decina di sanzioni ha deciso o, meglio, ha utilizzato le proteste per portare il regime al tavolo di negoziazione su tanti temi, tra cui anche il nucleare. Tutto questo comunque non vuole dire che è finito tutto, stiamo letteralmente entrando nella fase finale della rivoluzione e l’anniversario di Mahsa Amini potrebbe essere l’inizio di questa fase.
Che differenza c'è tra le proteste che facevate voi del Movimento Verde nel 2009 dopo le elezioni (controllate dal regime) e le rivolte dell'ultimo anno dopo l'uccisione di Mahsa Amini? Nel 2009 ancora una grande parte del popolo supportava e credeva nei riformisti, un miraggio creato dal regime appunto per controllare la società e darle una finta sensazione di possibilità di cambiamento interno al regime. Infatti nel 2009 le richieste riguardavano solo i risultati dell’elezione, e manifestanti chiedevano al regime di rispettare il risultato reale, che era la vittoria del riformista Mir Hossein Musavi. Ma diciamo che dopo la repressione del 2009, tanti hanno cambiato idea e sono diventati “Barndaz” cioè le persone che voglio rovesciamento del regime islamico. Questa possiamo anche chiamarla la prima fase della rivoluzione iraniana. La seconda fase, o in qualche modo l’ingresso nella vera fase della rivoluzione è stato quello che è successo nel 2017, e in seguito nel 2019 - precisamente più a novembre 2019 - dove ormai la società si è divisa in due parte chiare: chi è con il regime e chi lo supporta da un lato, e chi è contro regime e vuole un cambiamento rivoluzionario dall’altro. Questa seconda fase della rivoluzione è ancora in corso e ha fatto un passo avanti con le proteste degli ultimi mesi dopo l’uccisione di Mahsa Amini. Adesso l’opposizione ha le idee chiare. La società iraniana, anche la parte grigia, sa cosa vuole e sono tutti pronti per la fase finale.
L'opposizione al regime è molto frammentata. Può spiegarci quali sono i principali gruppi (a parte il MEK, che affronteremo a parte) e le differenze tra loro? Se il panorama politico del regime è molto ristretto, in realtà l’opposizione è piena di differenze ideologiche. Abbiamo veramente diversi pensieri e diversi modi di fare. Ma alla fine diciamo che la differenza principale è sul tipo di governo futuro dell’Iran: cioè tra monarchia costituzionale e repubblica. E tutte le forze politiche di opposizione, da destra a sinistra, si dividono tra questi due gruppi. Ci sono i partiti più diversi: Pan iranisti, monarchici (estrema destra), monarchici costituzionali e repubblicani (patrioti di centro destra e centro) repubblicani democratici, comunisti e marxisti. Poi ci sono i partiti etnici come i curdi, gli azeri, i turchi ed altri gruppi di sinistra (centro sinistra, estrema sinistra). Diciamo che centro e centro destra iraniana sono gruppi che possiamo definire liberali, liberisti e democratici. I sondaggi effettuati tramite internet da centri di ricerca stranieri o sondaggisti iraniani all’estero dimostrano che in realtà il centro e il centro destra iraniano costituiscono la parte maggiore della società iraniana. E gli stessi sondaggi dimostrano che in realtà tra i diversi personaggi o cosiddetti leader politici dell’opposizione, in realtà il principe Reza Pahlavi ha una maggioranza quasi assoluta (circa 70%). Questo semplicemente perché a parte i diversi monarchici che vedono il figlio dello Scià di Persia come unica vera alternativa al regime, anche tanti repubblicani iraniani (quelli che noi definiamo Patrioti) lo vedono come alternativa principale. Il motivo per cui i gruppi della sinistra iraniana costituiscono una minoranza è dovuto al ruolo che hanno avuto nella “rivoluzione” khomeinista del 1979, oltre a decisioni e posizioni politiche prese in tutti questi 44 anni di regime.
Può spiegarci meglio la posizione del principe ereditario Reza Pahlavi, figlio dello Scià di Persia. Dopo il suo viaggio in Israele, ha sicuramente acquisito credibilità agli occhi dell'occidente. Lei stesso non nasconde le sue simpatie per il principe. Perché crede sia la migliore alternativa al regime degli ayatollah? Come ha detto sempre il principe ereditario, la sua missione è aiutare a liberare l’Iran; in realtà è un suo dovere costituzionale oltre che ovviamente un dovere umano. Il figlio dello Scià dopo il 1979 e dopo la morte di Mohammad Reza Shah Pahlavi ha giurato come principe ereditario e nel suo giuramento si è impegnato a non riposare finché non libererà l’Iran dal regime attuale e otterrà un Iran libero e democratico. Sua altezza reale ha ripetuto sempre in questi anni che non vuole né potere né ruoli politici nel futuro dell’Iran. Per lui è importante liberare l’Iran dagli ayatollah e costituire un Iran libero e democratico che rispetti i diritti umani, un Iran per tutti gli iraniani da destra a sinistra, di qualsiasi religione e credenza e non credenza. Un Iran che collaborerà con tutto il mondo e diventerà un attore importante nella scena politica e economica del mondo libero. Un Iran che rispetterà i suoi vicini in Medio Oriente e li vedrà come alleati e partner economici e politici. Però per tutto questo bisogna abbattere prima il regime degli ayatollah. E il principe ha sempre parlato di come possiamo farlo, ovviamente sempre indicando la lotta pacifica e non armata unita al diritto alla legittima difesa per i manifestanti. Ha sempre parlato della giustizia transizionale per subito dopo il crollo del regime, ha parlato di integrazione del personale del regime (quelli che non hanno le mani sporche di sangue del popolo iraniano) nel futuro dell’Iran. Insomma, il principe Reza Pahlavi ha un programma completo per il presente e per il futuro dell’Iran. Ha una squadra forte intorno a sé con diversi partiti, think-tank e centri di ricerca scientifica (come ad esempio Partito monarchico costituzionale, Partito Iran Novin, NUFDI, e Phoenix project of iran) E’ questo suo pensiero liberale e democratico verso il futuro dell’Iran che attira sia monarchici che repubblicani verso di lui. Anche i viaggi che ha fatto negli ultimi mesi in diversi paesi europei ed Israele dimostrano la sua visione e il pensiero di volere collaborare con tutti per il bene del futuro dell’Iran. Ovviamente la gemma di tutti questi viaggi è stato il soggiorno in Israele che è stato il primo viaggio di un politico iraniano in Israele dal 1979. L’ospitalità da parte del governo israeliano è stata eccezionale, dalla ministra Gila Gamliel che l’ha accompagnato per tutto il viaggio, agli incontri con il Presidente Isaac Herzog e il premier BiBi Netanyahu e tanti altri incontri di cui uno anche con gli iraniani in Israele, ha accesso la luce di amicizia tra due nazioni storicamente e culturalmente vicine e collegate. La visita all’impianto dolcificatore d’acqua è stata anche molto significativa, visto che è una tecnologia che servirebbe subito all’Iran che ha problemi serissimi con le fonti d’acqua. Questa visita ovviamente ha avuto e avrà ancora degli effetti positivi che sicuramente sentiremo in futuro.
Una domanda a parte la vorrei dedicare ai Mojahedin del Popolo Iraniano (spesso indicati con la sigla MEK). Da un lato sembrano i più organizzati, dall'altra però la loro radice islamico-marxista inquieta non poco. Chi sono? cosa vogliono? E soprattutto: sono credibili come alternativa democratica al regime? I Mujahedin Khalgh (mujahedin del popolo, detti anche MEK) sono conosciuti anche come “consiglio nazionale di resistenza iraniana” sono un gruppo paramilitare di estrema sinistra iraniana con un’ideologia marxista islamista. È un gruppo armato che esiste già da prima della rivoluzione khomeinista. Viene creato da una scissione di un gruppo di estrema sinistra iraniana. Prima del 1979 questo gruppo organizzava atti di terrorismo e anche di uccisione di persone rivolti contro la famiglia Pahlavi e il governo dello scià. E per quello erano tra le organizzazioni armate vicini a Khomeini. Quando nel 1979 Khomeini prende il potere, gradualmente elimina tutti suoi concorrenti al potere. Tra questi anche il MEK, che dai primi anni ‘80 ufficialmente si sono schierati contro il regime, ma nel frattempo continuavano i loro atti di terrorismo in Iran. E non dimentichiamo che si sono schierati a favore dell’Iraq di Saddam Hussein nella guerra tra Iran e Iraq. Il gruppo viveva nel campo di Ashraf, in Iraq. E alla fine del 2009 era nella lista nera delle associazioni terroristiche di UE e fino al 2012 era riconosciuto come tale anche negli Stati Uniti. In seguito, grazie a certi politici americani e a un forte lavoro di lobby da parte dei neoconservatori sono stati tolti dalla lista terroristica. Tanto che oggi vengono presentati dai conservatori europei e americani come alternativa democratica al regime islamico in Iran. Questa organizzazione terroristica ha una storia inquietante per come trattava i suoi membri all’interno dei loro campi in Ashraf, e in seguito anche in Albania. Il codice di abbigliamento imposto dal MEK è molto specifico ed estremamente islamico, anche peggio di quello dell’attuale regime degli ayatollah. Oserei dire che le loro regole ricordano più una Corea del Nord islamica: matrimoni e divorzi forzati tra membri, separazione forzate di bimbi dai genitori, sterilizzazione delle donne, infinti casi di stupri da parte dei leader del culto e tanti altri atti orrendi che sono documentati e raccontati grazie a ex membri sono riusciti a salvarsi. Questo gruppo viene supportato economicamente da una parte tramite diverse associazioni registrate nel mondo, e dall’altra da fondi che arrivano da diversi governi. Ma la maggior parte del supporto economico arriva da fonti sconosciute. Qualcuno arriva a dire che sono supportati direttamente da parte del regime islamico perché ogni volta che ci sono rivolte in Iran, i MEK provano a metterci il cappello sopra. Così facendo spaventano la parte grigia della società iraniana che odia questo culto e teme di passare dai fascisti islamici ai marxisti islamici. Questo gruppo chiaramente dichiara che vuole una repubblica democratica popolare (guarda caso proprio come Cina, Corea del nord e Congo), sono fortemente antimperialisti e anti Israele, anche se cercano di nasconderlo, come faceva Khomeini prima del 1979 Loro già adesso minacciano chi li critica. Io per primo sono stato vittima di loro attacchi sui social, così come tanti miei amici giornalisti italiani che hanno paura di parlare contro il MEK. A me per esempio, mi minacciano che in un futuro Iran dove ci saranno loro a potere dovrò rispondere perché chiunque è contro loro sicuramente sta dalla parte degli ayatollah. Purtroppo, sono riusciti a infiltrarsi anche nelle manifestazioni qui in Italia e tra gli studenti iraniani, che probabilmente non sanno nemmeno chi sono questi qua. Fortunatamente gli iraniani sono intelligenti e conoscono benissimo la storia: sanno di chi fidarsi e di chi no: infatti i sondaggi dimostrano che i mek e i loro leader hanno un consenso di circa 0.6% tra i circa 90 milioni di iraniani. Ovviamente tutto questo non vuole dire che in futuro in un Iran libero i mojahedin non potranno fare attività politica. Al contrario, potranno essere attivi, ma ovviamente rispettando le leggi che saranno in vigore e nel rispetto dei diritti umani. Per farlo, dovranno prevedere una profonda riforma interna al loro gruppo e ai loro modi di fare.
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Fonte: informazionecorretta.it