Economia

Preludio alla critica della ragione economica

In tutta onestà mi prenderei una pausa! E’ utile scrivere di cultura, consapevolezza, esistenza, orizzonti di cambiamento, in serenità e auspicabilmente in confronto. Ma è difficile in questi giorni resistere dall’intervenire sulle continue devastazioni che vengono in mente a questo governo.  Almeno per oggi provo a scansare l’ultimo masso scaraventato dall’ipergarantista (eufemismo) Nordio, che col suo turno a dar mazzate al Diritto riesce anche a distogliere l’attenzione dalla “pregiatissima” manovra finanziaria.

Rimaniamo più o meno sul pezzo con la finanza che ha fagocitato la “giovine” economia.

L’economia è l’unica disciplina che non evolve. Nata da appena un paio di secoli, e oggi la materia più statica e ostinata che si possa studiare. Non è nemmeno corretto chiamarla disciplina, o addirittura “scienza”, come accade in alcuni corsi di laurea, poiché allo stato attuale è molto più simile a una dottrina con rigidissimi dogmi. Ha potenziale per essere qualcos’altro, ma non lo è.

Le scienze e la filosofia evolvono più o meno in armonia. Il pensiero, in sostanza, evolve. Non può esistere nulla di statico e ferreo in un universo per sé dinamico e in costante mutamento. Persino le materie più rigorose come la fisica o addirittura la – dea – matematica si arricchiscono continuamente di nuove teorie. Ma non l’economia!

Almeno in apparenza è così. Se però si ha voglia di studiarla bene, scavando tra centinaia di visioni e teorie che la definiscono e rivoltano come un calzino, allora il discorso cambia. Lo sa bene chi la studia con vera passione e non si fossilizza subito dopo la laurea nei tetri ambienti del sistema, archiviando tutto ciò che ha imparato. Un sapere che non solo viene dissipato ma rafforza la convinzione che l’unica economia è quella del sistema in cui si sta operando, tacciando di utopico idealismo ogni pensiero deragliante.

L’esperto economista moderno, come potrebbe essere l’attuale ministro Giorgetti, è colui che lavora in un sistema di risorse scarse e finite, per fare in modo che queste soddisfino illimitatamente i bisogni della gente, e in un contesto in cui tale modello cresca anche in maniera infinita. In sintesi: “la crescita infinita”, in cui tutti i componenti e sottosistemi del modello (produzione, consumo, finanza, etc.) devono crescere armonicamente e far quadrare i conti.

Non notate quanto venga disturbata la logica più elementare da quello che ho appena scritto?

Se non lo notate subito vi indico la parte che salta più facilmente all’occhio: in un sistema (pianeta terra) di risorse scarse, ossia finite, è un controsenso ritenere di poter soddisfare illimitatamente la richiesta e, per di più, farla crescere costantemente e all’infinito. Perde di senso anche il termine “economia”, che indica appunto qualcosa che va economizzato (rectius: risparmiato).

Una delle frasi più famose su questo tema da neuropsichiatria è quella di Kenneth Boulding: «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un’economista». La sottile ironia di Boulding, che non era l’ultimo arrivato, la ritrovate in altre numerose e colorite classificazioni per i nostri “economisti moderni”. Spiace per loro, ma vivono su Marte.

La cosa grave è che portano su Marte anche tutti gli altri comuni mortali che in questa “economia” devono starci: volenti o nolenti. Molto più volenti quei cittadini che hanno acquisito un certa solidità finanziaria, e buona confidenza con il sistema economico in cui sono immersi; a parte pochi intellettuali e qualche politico incline all’equità, lo vedete dai “talk show” in TV quanto tutti loro siano convinti della bontà e unicità del nostro sistema economico.

Faccio un esempio banale.

Qualche sera fa incrociavo la trasmissione “Zona Bianca”, su Rete 4. Si assisteva alla solita crociata contro il RdC, con un Capezzone intento a disprezzare la “paghetta” dei percettori del sussidio, perché in fin dei conti – diceva – non ce la possiamo permettere. Un meno sprezzante, ma altrettanto deciso, Bruno Vespa, a un certo punto esclamava «Allora cambiamo il mondo!», in direzione di Paolo Ferrero, il quale sollecitava l’osservazione di soluzioni e alternative che non vogliono essere prese in considerazione.

Cambiare il mondo.

Questo è ciò che teme chiunque viva in un sistema in cui è riuscito a ritagliarsi uno spazio di sicurezza, una “Ztl” per essere in tema con le etichettature dell’ultimo periodo. Dunque chi sta bene dentro questa Ztl, come il Capezzone che addirittura disprezza, o il Vespa più diplomatico ma irremovibile sul sistema, o lo stesso conduttore della trasmissione, Brindisi, che appoggia in pieno i primi due, non può trovarsi d’accordo con un Ferrero che va controcorrente e chiede di stare nella realtà. La realtà di tutti, specie di chi si trova nei guai e lo sarà ancora di più a causa di un’economia folle che non ammette l’equità, richiamandosi ai suoi inappellabili principi di competizione efferata e consumismo sconfinato.

I personaggi sono semplicemente presi al volo dall’etere di un’assoluta conformità di pensiero “economico”. Dunque un esempio riscontrabile in chiunque si ritrovi in quella Ztl sicura, e che naturalmente si trasferisce a tutti coloro che frequentano i salotti TV, la politica, e ogni altro ambiente in cui sia stato possibile costituire un solido rapporto con il sistema economico sacro e immutabile della crescita infinita. Le eccezioni sono poche, come quel Ferrero che ho visto parlare, o il Conte dei 5 stelle, piuttosto che Landini, e ogni altro soggetto che avrebbe deciso di andare controcorrente.

Per cambiare non si può fare altro a quanto pare: andare controcorrente!

L’economia che non evolve provoca danni incalcolabili e morti di fame, o di Covid. Non dimentichiamo che abbiamo dovuto realizzare anche questo dramma: o si muore di fame per non contagiarsi, o si va a lavorare per alimentare il sistema ma rischiando di morire di Covid. Il timore di creare qualsiasi rallentamento al sistema economico è tale da averci imposto un ritorno alla normalità con 500 morti alla settimana, tanto questi morti sono i “fragili” che se ci lasciano fanno anche risparmiare qualcosa in sostegni economici e pensioni (e qualcuno l’ha detto veramente!). Ma la paura è ancora più grande, perché si arriva a fare la guerra santa al RdC, presente e funzionale in tutti gli altri paesi europei ma che non va bene in Italia, perché da noi si teme che “Non ce lo possiamo permettere!”.

Questo è il problema in tutta la sua banalità. E per ora è conveniente fermarci qui.
E’ una spiegazione semplice a certe posizioni crudeli e spietate verso chi se la passa male, nel disperato tentativo di mantenere delle comodità sempre più vacillanti. Non si ammette che il sistema deve cambiare; si ha paura e non ci si rende nemmeno conto della rabbia sociale che si sta alimentando.


Base foto: Street Art di Banksy, “Follow Your Dreams – Cancelled” (2010), presso Chinatown, Boston, USA

(Altre Informazioni)
Autore P. Giovanni Vullo
Categoria Economia
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