Roberta Lanzino, la Calabria e altri misteri
E’ dura parlare di cold case, troppo il tempo trascorso: l’opinione pubblica dimentica giocoforza, le generazioni cambiano, il “progresso” tecnologico ti comunica l’ultimo aggiornamento di TikTok, ma non ti rende noto che c’era un mondo prima di te, ragazzo millennial, generazioni che ti hanno preceduto e di cui sei impastato, ti piaccia o no. Chiediamo il tuo aiuto, giovane nerd, hikikomori adesso più che mai rinserrato nella tua stanza, a smanettare sul dispositivo, chattando con persone che conosci sempre meno in carne e ossa.
Siamo nel lontano 1988, in una Calabria oppressa dalla malavita, ma con un tessuto sociale che, seppur subisce, pure è sano e vitale e vuole uscire dall’oscurità; ad esso appartiene la diciannovenne Roberta Lanzino, che vive con la famiglia (papà bancario) a Rende, provincia di Cosenza, universitaria di belle speranze.
Quel giorno, 26 luglio, si va in vacanza al mare, nella villetta a San Lucido. Roberta si avvierà sul motorino “SI” Piaggio, in modo che il fratello possa ritrovarselo a disposizione direttamente sul posto e utilizzarlo a sua volta; mamma Matilde e papà Franco la seguiranno in auto. Il gruppetto intende percorrere una strada che scavalla le colline, anziché la statale, pericolosa per un motociclo.
Come Matilde racconterà, straziata dal rammarico e i sensi di colpa, lei e il marito, invece di tallonare la figlia, si attardano in acquisti dal fruttivendolo e ad approvvigionarsi di acqua a una fonte, perdendo di vista lo scooter.
Quando, una volta arrivati, i due constatano che la ragazza non è lì e non li raggiunge, si apre il copione che ben conosciamo e partono le ricerche. Nel cuore della notte prima viene ritrovato il “SI”, integro e non in avaria, ma nascosto in una scarpata. A breve, tra la vegetazione, si scorgerà anche il corpo della giovinetta: spogliata dalla vita in giù, ha subito uno stupro ed è stata uccisa a fendenti, un’ecchimosi sullo zigomo, ficcate in gola due spalline ( tipicamente anni ottanta), intrise di sangue. A quel punto Franco, particolare da tenere a mente, presidia il piccolo slargo che immette nel dirupo, finché i rilievi saranno conclusi.
Le vicissitudini giudiziarie sono complicate e già molto narrate da articoli e servizi, quindi ci limiteremo a una breve sintesi.
Si suppone che Roberta si sia persa, circostanza ritenuta probabile su quella straducola tutta curve e deviazioni, infatti c’è chi si ricorda di lei mentre vaga chiedendo lumi sul tragitto, già verso Torremezzo, oltre il bivio che avrebbe dovuto imboccare, e qualcuno dirà di aver notato una Fiat 131 che pareva pedinarla: auto che verrà poi ritrovata in abbandono e legata ad uno dei sospettati successivi.
Sotto lente finiscono tre uomini imparentati: Giuseppe Frangella, che dichiara di aver parlato brevemente con Roberta in cerca della strada, e i fratelli, suoi cugini, Luigi e Rosario Frangella; il primo perché accenna a particolari che non dovrebbe conoscere e giustificherà la gaffe asserendo di aver dato una mano a tirar su il ciclomotore, ma papà Franco, immobile per ore in loco dal rinvenimento del mezzo e di sua figlia, lo smentirà; Luigi e Rosario, in quanto messi a mezzo da Giuseppe il quale, forse per scrollarsi di dosso le prevedibili accuse, li descriverà mentre si rincorrono nei pressi della scena del crimine, mentre il primo urla al secondo (che soffriva di un disagio psichico) “ che cosa hai fatto?”. Si aprirà un processo al terzetto, con relativa assoluzione.
Quanto ci preme e sta a cuore, rivangando questo ennesimo dramma, non è indugiare su particolari morbosi, ma inquadrare un clima avvelenato a partire dai media, per arrivare a un’opinione pubblica che non può sempre gridare alle colpe altolocate, ma ogni tanto dovrebbe interrogarsi su se stessa.
Il caso è stato riaperto e trattato “ a fisarmonica” nel corso degli anni, con maggiore o minore intensità, questa è la sensazione, secondo l’inquirente in carica, i giochi di cadrega, la buona volontà, acchiappando al volo ciò che nuove leggi, scoperte scientifiche e padrinati politici offrivano, almeno spulciando attraverso i decenni. Nel 2007 le rivelazioni del pentito Franco Pino porteranno a Luigi Carbone e Franco Sansone; i Sansone avrebbero poi fatto sparire Carbone che stava per vuotare il sacco. Siamo sulla strada buona? Chissà, intanto gli anni passano e arriviamo ad articoli, del tipo :
“ Le ferite rinvenute al volto e al cuoio capelluto della giovane, furono ritenute compatibili con la lama del coltello ritrovato a pochi metri dalla salma... L‘agente, ieri ha raccontato che il coltello fu acquistato a Stradella di Pavia, unico punto vendita dove all’epoca era acquistabile in Italia la marca Wilson, prodotta in Lombardia… In quella frazione però risiede il fratello dei Frangella, Aldo. I venti jeans dei Frangella sequestrati alla fine degli anni ’80 sono nelle disponibilità del Ris e pare presentino diverse macchie di sangue mai periziate. Macchie che potrebbero far ribaltare le posizioni nel processo che riprenderà il 5 Novembre prossimo. - quicosenza.it, 23 ottobre 2014.
Faticosamente potremmo provare a disegnarci uno scenario, ma quest’anno leggiamo un lungo strale, ecco uno stralcio:
“…L’omicidio della studentessa 19enne Roberta Lanzino, avvenuto sulla vecchia strada di Falconara, per quanto sia stato territorialmente di competenza della procura di Paola, è a tutti gli effetti un omicidio “cosentino”. Di conseguenza, ricade sotto la diretta responsabilità di quei magistrati corrotti del porto delle nebbie (il Tribunale di Cosenza per chi è nuovo di Iacchite’), che non fecero nulla per arrivare alla verità. Neanche dopo aver ricevuto un esposto anonimo con i nomi degli assassini. L’unico atto – frutto della mente perversa e diabolica dell’attuale procuratore Mario Spagnuolo, alias il Gattopardo, allora 34enne sostituto procuratore – è stato quello di coinvolgere in questa vicenda la sua “creatura” ovvero il pentito Franco Pino, che ormai da più di un decennio prende in giro tutti raccontando versioni allucinanti sull’omicidio di Roberta, che sono state progressivamente e miseramente smontate pezzo per pezzo…”. Iacchite.blog, 26 luglio 2020.
Nella lunga esposizione si suggerisce l’ipotesi di crimini orditi “ai piani alti”, scaricati poi sul groppone di poveri disgraziati di campagna, con l’aiuto di perfidi sedicenti pentiti.
Lasciamo questa catilinaria alla responsabilità di chi l’ha redatta, notando che, più oltre, in essa si fa il nome di un valente magistrato, Eugenio Facciolla, che si occupava anche delle indagini sull’omicidio del calciatore del Cosenza Denis Bergamini (1989), peraltro trasferito ad altri incarichi di recente.
Leggiamo qualche riga di una testimonianza di alto valore, che ci arriva esattamente da una ragazza, una giovane tra quelli da cui speriamo venga raccolto il testimone dell’indignazione e della ricerca della verità:
…“Vai a vedere con chi stava” – “Scusa non capisco che vuoi dire” – “Che voglio dire? Che certe cose non accadono per caso” – “Scusa prima mi hai detto che non ci sono colpevoli, ci sono sospettati?” – “ Penso di sì, ma non so neanche di chi sospettano. Però dalle mie parti sappiamo bene che certe cose non accadono mai per caso” – “Ah siete tutti un po’ chiromanti nel tuo paese” – “Che vuol dire? Ah fai la moderna” – “ Moderna?!” – “ Sì, fai la moderna, fai finta di non capire” – Da Vivi.libera, 25 luglio 2020.
La “moderna” è una studentessa che chiede lumi, l’altra vorrebbe ridurre tutto a qualche scandaletto di paese, alludendo a torbidi retroscena personali della Lanzino.
A questo punto, il turbinio delle domande impazza. I filmati ci mostrano luoghi molto cambiati: ci pare che in pieno giorno e pieno sole un simile massacro non avrebbe potuto passare inosservato, dalla strada o dabbasso, dalle spiagge che pure dovevano essere affollate, il costone appare esposto, Roberta avrà urlato, gli assassini si saranno pur stravolti. Oppure…
Oppure, tutto si è svolto in un casolare, poi il corpo è stato scaricato in quel recesso per farlo trovare ( non fu difficile), ma…chi avrebbe immaginato di beccare una ragazza sola e rimasta senza protezione per un errore di marcia? Chi avrebbe rischiato di trascinarla, lei con tutto il motorino, quando i piani prevedano che i genitori sbucassero da una curva, da un momento all’altro? O si tratta di predatori momentanei, sempre in cerca ed esperti di mattanze? Esecutori di ordini “dall’alto”, procuratori di fanciulle per turpi sollazzi? E la ’ndrangheta, possibile mai che non ci entri per nulla? Che la giovane avesse visto ciò che non doveva?
Matilde e Franco hanno creato la fondazione “Roberta Lanzino”, di cui si trovano notizie in rete. E una via a lei intitolata si trova, per esempio, a Lamezia Terme, dove andò incontro a un’orribile fine la cantante Graziella Franchini, in arte Lolita, nel 1986, di cui scrivemmo. Quanti delitti senza colpevole.