Marcelo Pecci, il magistrato antimafia paraguaiano assassinato in Colombia
Non l’ho conosciuto personalmente, per la mia paura di volare nei lunghi viaggi oltreoceano, ma assieme a lui ho ricevuto la menzione speciale al Premio Internazionale “Giovanni Falcone” di San Paolo del Brasile, il 7 dicembre del 2015. Si occupava già di criminalità organizzata, ma non era ancora noto.
Oggi leggo che proprio quel Marcello Pecci, di chiare origini italiane, e sua moglie, la giornalista Claudia Aguilera, hanno subito un attentato nel quale il magistrato è purtroppo rimasto vittima. Avevano da poco annunciato che sarebbero diventati genitori. Il magistrato è stato trasferito in ospedale, dove però è arrivato senza vita.
Pecci, si stava occupando di numerose indagini tutte legate alla lotta al crimine organizzato e al narcotraffico internazionale. Alcune delle sue ultime inchieste riguardavano anche il riciclaggio internazionale di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo. Di recente aveva partecipato all'operazione “Ultranza Py”, una tra le più grandi operazioni antidroga nel suo Paese.
La polizia sembrerebbe sia già in possesso degli identikit dei sospettati. Sulla loro consegna alle autorità di polizia sembra ci sia anche una ricompensa di cinquecento mila euro.
Dalle modalità di esecuzione e dal messaggio lanciato penso si tratti di un delitto di stampo mafioso da parte dei narcos paraguaiani in alleanza e con il consenso dei colombiani.
Le organizzazioni criminali dei due Paesi sudamericani hanno molto affari in comune soprattutto nel campo del traffico internazionale di stupefacenti e nel riciclaggio, ambiti in cui stava indagando a fondo proprio Pecci.
In Paraguay le organizzazioni criminali si impegnano in vari affari illeciti, non solo il traffico di droga, che è il punto in cui esiste un legame più diretto e quantitativo con gli episodi di violenza. Siamo già di fronte a caratteristiche di un “narco-Stato”.
Solo nel primo mese dell'anno in corso ci sono stati trenta omicidi, tra giornalisti, forze dell’ordine e ora anche magistrati, da parte di sicari, in pratica uno al giorno. È una mattanza. La popolazione non è più al sicuro da nessuna parte, poiché non di rado persone innocenti, compresi i bambini, restano vittime collaterali di regolamenti di conti tra cosche criminali dedite al narcotraffico. Il traffico di droga non solo ha infettato la struttura dello Stato, come riconosciuto da alti funzionari governativi, ma si è diffuso anche sul territorio, ben oltre le tradizionali aree di violenza, come l’Alto Paraná e Amambay.
Il “clan Rotela” dedito allo spaccio di stupefacenti è quello più feroce e meglio organizzato sia militarmente sia economicamente. Le guerre tra organizzazioni criminali rivelano che, da diversi anni, la polizia è incapace di garantire i minimi requisiti di ordine pubblico. La criminalità organizzata si è infiltrata ormai in molte istituzioni pubbliche.
Nel secondo semestre del 2021 sono stati sequestrati in Europa circa quarantamila chili di cocaina spediti dal Paraguay. Lo Stato sudamericano è anche un grande produttore di marijuana. Per gli abitanti di alcuni piccoli Comuni del sud del Paese la produzione di sostanze stupefacenti rappresenta anche una forma di sostentamento familiare considerata la povertà di quelle zone.
I mercati legali devono essere controllati in modo efficace. Andrebbero distrutte tutte le piantagioni che producono droghe creando immediatamente mezzi di sussistenza legali adeguati per le popolazioni che vivono di quell’illegalità. Fare in modo che ogni famiglia non coltivi più i propri campi di coca, ma abbia una seria alternativa.
Un tale approccio sequenziale darà alla popolazione un interesse nel lavorare per la creazione di economie legali e mezzi di sussistenza praticabili. Non si possono lasciare gli agricoltori che accettino di sradicare le loro colture di droga soli e senza reddito. Le strategie antimafia e antidroga a livello internazionale non mi pare abbiano ottenuto grandi risultati. Il problema purtroppo non è di facile risoluzione.
Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80. È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.