Rodolfo, l'ambiguità assoluta

 Il futuro divo nacque a Castellaneta, in Puglia,  nel 1895, da padre italiano e madre francese; si chiamava in realtà Rodolfo Guglielmi, più un certo numero di altri nomi di battesimo dopo il primo. Studiò, di malavoglia, in alcune scuole finché,  ancora giovanissimo, si trasferì in Liguria. Frequentò la scuola agraria di Sant’Ilario, allora paese in provincia di Genova, oggi sobborgo elegante della città, che gli dedicò una mostra nel centenario della nascita. Si mise presto in evidenza per gli atteggiamenti anticonformisti.

Secondo alcune voci anonime, si fece anche conoscere per le doti amatorie. Veniva chiamato dai locali “il calabrese” e pare che fosse stato sorpreso ad amoreggiare con donne sposate: precoce e coraggioso, nell’Italia di allora.

Irrequieto, tentò la strada dell’emigrazione in America, ancora quasi adolescente.

L’esperienza genovese gli tornò utile. All’inizio, a New York, campò facendo anche il giardiniere a Central Park, sulle cui panchine gli capitava di dormire. Incappò nelle tipiche disavventure da immigrato e gli furono attribuiti piccoli reati, furtarelli: le accuse, però, non furono provate o, come sostengono i biografi, furono cancellate in seguito dai potenti produttori di Hollywood, che gli "ripulirono" il curriculum.

Sempre stando a testimonianze non ufficiali, fece il ballerino per signore sole nei locali notturni, specializzandosi nel tango. Deve essersi accorto presto di avere ascendente sulle donne; per molti, quel genere di “ballerini” altro non era che una sorta di “american gigolò” antesignani.

Si dice che sia scappato da New York perché la sua amante, credendo di fargli un favore, aveva ammazzato il marito per stare con lui. A San Francisco, nell’ambiente teatrale dove si era infilato, si fece un buon amico, tale Norman Kerry, che gli consigliò di buttarsi nel cinema nella vicina Los Angeles.

Attenendosi alla versione conosciuta, si può affermare che ebbe una carriera sfolgorante e fulminea. Interpretò tutti i maggiori successi del cinema muto di allora. Tra gli altri si possono citare: “I  quattro cavalieri dell’apocalisse” e “Sangue e Arena”, ambedue tratti da romanzi di Blasco Ibanez; “ Lo Sceicco” e “Il figlio dello sceicco ”, successi planetari. Aveva un volto intenso ed espressivo, la pelle ambrata, un aspetto esotico e un sex appeal che sconvolgeva le americane perbeniste. Teneva maniacalmente all’eleganza ricercata: indossava pellicce e gioielli.

 All’epoca fare l’attore era una fatica improba. Le luci erano accecanti e le cineprese poco sofisticate. Si usava, per il trucco, un cerone pesante come il cemento; inoltre gli attori erano relativamente mal considerati. Molti, come lo stesso Valentino, venivano dal vaudeville (*1) o da sordidi teatrini di provincia, quando non direttamente dal letto di qualcuno, senza il minimo bagaglio professionale se non il proprio talento, quando c’era. Professionisti validi come John Gilbert andarono in rovina con il sonoro, perché la voce non piaceva, o almeno così gli venne detto. I registi dettavano legge.

Ma Rudolph, o Rudy, come veniva chiamato, non arrivò al sonoro e rimase un fulgido esempio di star hollywoodiana della prima ora.

Venne sempre considerato “l’amante latino” per eccellenza. Da alcune autobiografie di suoi colleghi che lo avevano frequentato, come la diva sua pari Gloria Swanson, emerge un ragazzo mite e gentile, amante dell’equitazione, del mare, degli animali.

I due erano molto amici. Qualche tempo fa è stata ritrovata la copia, che si riteneva smarrita, del film che girarono insieme nel 1922, "Behond the rocks". La Swanson ci ha raccontato della pratica di girare la doppia versione, quella più spinta, per l'Europa e quella più "morigerata" per il mercato americano.

Rudy non era molto alto, ma questo era un vantaggio perché, per problemi di inquadrature derivati dai macchinari di allora, gli attori e le attrici dovevano essere piccoli.

Nell’ambiente aveva un’altra ottima amica, June Mathis, che cercò sempre di aiutarlo e lo stimava come uomo e attore.

Si sposò due volte.

Il primo matrimonio fu con la collega Jean Hacker. Secondo biografi e studiosi dei fenomeni divistici, costei non gli avrebbe detto di essere lesbica e lo avrebbe sposato per pietà, al massimo per simpatia, riproponendosi di non fare sesso con lui. Pur nel disinvolto contesto in cui i due si muovevano, avrebbero atteso la prima notte di nozze per parlare di cose  del genere... Si separarono subito.

Rudy incontrò Natasha Rambova, franco – americana. Era una  costumista geniale, ma dai gusti bizzarri e dispendiosi, molto amica e allieva della coreografa  Alla Nazimova.

C'erano donne molto potenti allora, nel cinema, e Alla era una di esse. Ex amante di Checov, ma con reputazione di bisessuale, allieva del maestro di recitazione Stanislawski, governava un circolo di raffinate amiche, ispirandosi ai modi saffici. Rudy aveva già pescato lì la prima moglie e ci ricascò con la seconda - sempre ammesso che non fosse tutto pilotato dagli Studios.

Ci furono guai per divorziare e risposarsi, compresa un’accusa di bigamia. Soprattutto, queste frequentazioni gettarono una luce ambigua sul personaggio dell’attore.

Come europeo e idolo delle donne, era già abbastanza odiato da certa opinione pubblica americana, che avrebbe voluto vedere solo film con Mary Pickford o Lillian Gish che facevano la boccuccia a dei maschi un po’ servili.

Non che  i colleghi  statunitensi si comportassero bene. Già in quegli anni era trapelata qualche indiscrezione sulle loro pessime abitudini: abuso di droghe, suicidi, omicidi, festini proibiti, falsa eterosessualità. Ma l’ ”italiano” era una preda troppo ghiotta da divorare.

Nel 1926 Rudy ebbe problemi di salute: Forse si trattò di un’appendicite mal curata che si trasformò in peritonite, aiutata da una vita di eccessi: l’attore si spense il 23 agosto, a 31 anni.

Nel paese si registrarono diversi suicidi femminili.

Ai funerali, affollatissimi di gente comune, si videro inedite scene di isterismo collettivo da parte delle donne; in prima fila c’era, affranta, in lutto chic, l’attrice Pola Negri, la quale dichiarò ai giornalisti che stava per sposarlo e svenne ripetutamente, per la gioia degli innumerevoli fotografi.

Per anni fu vista pregare sulla sua tomba di Los Angeles una misteriosa signora in nero, con il viso coperto da un velo e perciò irriconoscibile. Rimase sconosciuta, almeno ai più. Si è ipotizzato che si trattasse di una o più comparse, che la casa cinematografica inviava per tenere in piedi il mito: operazione abbastanza riuscita, visti i risultati.

Di fatto, l'attore era un tipo affascinante ma problematico. Una volta scioperò contro i produttori e rischiò il lastrico. Poi si unì alla compagnia "United Artists" fondata da Chaplin, Mary Pickford e Douglas Fairbanks per lavorare in piena indipendenza.

Si trattava di ottimi progetti, interrotti dalla precoce morte. Rimasero invece molti debiti, pagati mettendo all'asta i beni del defunto. La tomba fu pagata da June Mathis.

La famiglia Guglielmi, ribattezzatasi Valentino, vive a Los Angeles, è molto devota alla memoria del prozio e fa celebrare una messa tutti gli anni, nell'anniversario della morte.

 La storia “nascosta” racconta più o meno che Rudy era gay e, se donne ci sono state, erano coperture per il popolino. Stava sempre in compagnia di maschi ed era risaputo il suo stretto legame con l’attore Ramon Novarro.

Questi ricevette da Valentino, in dono, un prezioso spadino, trovato accanto al letto quando, nel 1968, Ramon venne rinvenuto morto (fu ucciso da due ragazzi di vita che si era portato in casa).

Il film biografico interpretato da Rudolph Nureyev non ha chiarito i dubbi.

Gloria Swanson scrive che le accuse di omosessualità rivolte a Valentino erano “ridicole”, ma di più non aggiunge.

In verità egli sprigionava un fascino ambivalente. Gli atteggiamenti furono probabilmente costruiti ad arte, sfruttando la predisposizione dell'interessato. Nelle scene d'amore, davvero sensuali e mai volgari, l'espressione del divo si presta a tutte le interpretazioni anche se partner, per ovvii motivi, era sempre una donna. Si consolidò la predisposizione di un personaggio e di un modo di fare cinema in cui ognuno può trovare quel che cerca, con tanto di sottintesi, a più direzioni. Bisogna ammettere che gli americani sono maestri in tali manipolazioni.

 I fascisti italiani avevano dato ordine al popolo di ignorare Rudy, benché connazionale, per due principali motivi. In tempi di fascismo, Valentino aveva preso la cittadinanza americana, cosa che Mussolini non poteva perdonare; inoltre c'era questa reputazione di effeminatezza.

Un po’ dovunque, grazie a un perfido giornalista, lo avevano soprannominato “piumino rosa”.  Rudy si era prestato alla pubblicità di una cipria per uomini ed era stato inoltre molto convincente nel film “Monsieur Beaucaire”, dove interpretava un raffinato e incipriato libertino del ‘700 francese.

Il film era stato un’idea della eccentrica seconda moglie, stufa delle solite interpretazioni di Rudy nella parte di playboy spagnoli o arabi, ma non ebbe successo. Poca fortuna portarono anche certe foto “artistiche” che lei lo convinse a fare, dove era ritratto quasi nudo o abbigliato con gioielli e catene.

I due formavano una bella coppia, e si prestarono a tour pubblicitari per prodotti di bellezza, che riscuotevano grande successo. Forse poteva funzionare, ma probabilmente il mondo di lei era troppo distante da quello del marito. Natasha lo seguì in Europa ma, una volta in Italia, si fermò a Milano e lasciò che lui proseguisse da solo verso la natìa Puglia, che il divo trovò povera e arretrata. Anche per questo motivo lì, a differenza che altrove, nessuno gli tributò onori e omaggi: chi poteva permettersi di andare al cinema? Per i compaesani, era  quasi uno sconosciuto.

Per volere della United Artists, Natasha fu tagliata fuori dalle produzioni del marito, di cui aveva  con fatica sgrezzato l’immagine, e per questo lo lasciò. Valentino, che a detta degli amici desiderava dei figli, non si riprese più e si diede ad una vita dissoluta.

Nel frattempo praticava la boxe e sfidò un pugile, vincendo, per dimostrare di essere un vero uomo.

Un'ennesima leggenda su di lui riguarda le sue ultime parole prima della morte:  “Mi sto comportando come un piumino rosa?". I cinematografari razzisti, che lo avevano sempre trattato come un bianco spurio, per far scena ebbero il coraggio di mandare delle comparse vestite da fascisti vicino alla bara.

 Oggetto, come spesso accade, di odio e amore,  l'illustre emigrato lasciò un vuoto e si tentò disperatamente di trovare un sostituto. Fu chiamato dall’Italia il fratello, cui  si inflissero diversi interventi di chirurgia plastica per farlo somigliare a Rudy, ma non si venne a capo di nulla. L’unico sosia rimane Gorge Raft, amico di malavitosi e, di professione, attore che li interpretava.

 

(*1) Forma di rappresentazione teatrale nata in Francia nel XIX secolo, considerata di basso livello per la sua licenziosità