"MANCANO esattamente due mesi al referendum, un tempo che sarà infestato di polemiche, proclami, risse, scomuniche e richiami al giudizio universale.

È bastato l'editoriale di Eugenio Scalfari di domenica per scatenare dibattito e divisioni tra i lettori, sull'interpretazione da dare al confronto tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky sull'oligarchia, il governo dei pochi o la democrazia diretta e su chi avesse vinto il confronto. Come sapete, Scalfari ritiene che a prevalere sia stato il presidente del Consiglio, un giudizio che non è stato condiviso da una parte dei lettori."

Inizia così, su Repubblica di martedì 4 ottobre, l'articolo a firma del direttore Mario Calabresi "Referendum, se il confronto chiude il ring". È curioso questo articolo dal titolo molto sibillino ma dall'incipit molto più chiaro. Con un minimo di dietrologia si può immaginare che cosa sia accaduto.

Dopo aver letto il fondo di Scalfari, molti lettori del quotidiano da lui fondato si devono essere alquanto adirati per non usare termini più concreti, ma meno eleganti. Anche in questo caso il motivo può essere facile immaginarlo: l'aver assegnato, da parte di Scalfari, la vittoria nel confronto televisivo sul referendum di dicembre a Renzi basandosi solo sull'argomento che il nuovo testo costituzionale non fosse oligarchico (tesi comunque tutta da dimostrare) e dimenticandosi  completamente di considerare se questo, come cercava di spiegare Zagrebelsky, riuscisse o meno a mettere in pratica i titoli su cui gli elettori saranno chiamati a decidere.

Evidentemente l'impostazione dell'articolo ed il conseguente giudizio di Eugenio Scalfari non sono stati condivisi e deve essere stata una sensazione che molti hanno avuto, tanto che molte devono essere state le proteste se lunedì Mario Calabresi si è sentito in dovere di correre subito ai ripari che, oggi, si sono materializzati nell'articolo che annuncia una sezione del giornale dedicata al dibattito pro o contro la riforma. I primi contendenti sono il professor Settis e Giorgio Napolitano.

Questa vicenda, dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, quale sia ormai il ruolo dei media in Italia che, invece di informare pensano di formare i propri lettori. Può darsi che con alcuni funzioni. Però, come dimostra quanto accaduto con Repubblica, il cui direttore ha dovuto metterci una pezza, non tutti i lettori sono disposti ad accettare passivamente questo metodo che ha un nome ed è chiamato indottrinamento.

Ed è anche naturale, perché Repubblica, almeno in passato, aveva raccolto lettori che un minimo di senso critico lo avevano conservato e, da questa vicenda, sembra che ancora esistano.