Antonio Campobasso è un particolare e doloroso caso letterario, e lo testimonia il suo singolare libro, Nero di Puglia, (Milano, 1980), straziante autonarrazione tra lirismo e naturalismo. Quando esce il libro, nel 1980, l’autore si trova in carcere: a Vallo della Lucania. Il paradosso è che Campobasso aveva tutti i suoi buoni motivi per ritenere di avere già saldato il suo debito con la giustizia. 

E invece le manette arrivano inaspettatamente a tintinnare ancora una volta: c’è uno scampolo di carcere in sospeso e la giustizia, quella dal volto più crudele, pretende il saldo finale. Gridando la sua cronaca, Campobasso dice subito chi è, chi era, cosa vuole: “cerco un giudice per un processo che non si farà mai, dove alle assurde norme dei codici mi sostituiate una parola che riscatti un’umanità repressa ed emarginata”. 

Figlio di una donna pugliese (“doppiamente puttana” perché ragazza madre e con un figlio nato da un incontro casuale con un nero della California), il piccolo Antonio trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra orfanotrofi, riformatori e carcere. 

“Le guardie hanno fini gusti sanguigni, hanno bisogno di bere ogni giorno la porzione di lacrime altrui, vedere sangue, sentirne il calore, toccare ferite, membra distorte e gonfiate, occhi tumefatti; tutto dinanzi ad uno schifo di dio che è il signore delle oscurità immonde, compiaciuto di aver creato uomini – bestie per soffocare uomini – uomini.”

Antonio Campobasso, dal libro Nero di Puglia, 1980.

Il romanzo partecipa al Premio letterario online, Universolibero 2020.