CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare), Ginevra. 6 agosto 1991. Uno sconosciuto fisico britannico di 36 anni, Tim Berners-Lee (nella foto), mette in rete il primo sito web della storia, che risponde, allora come ora, all'indirizzo info.cern.ch. Nasce ufficialmente l'World Wide Web.

Già un paio di anni prima, nel marzo 1989, nella testa di Berners-Lee aveva cominciato a prendere forma l'idea di come poter organizzare, in modo razionale, la montagna di dati disponibili nel centro di ricerca, in modo da facilitarne l'accesso e lo scambio fra gli scienziati di tutto il mondo.

L'ispirazione gli fu data da un programma ipertestuale di Apple: Hypercard. Derivato dal Project Xanadu di Ted Nelson, Hypercard era basato su una struttura a schede, attraverso le quali si poteva navigare mediante degli hot button, in pratica quelli che oggi sono i link. C'è qualcuno che ancora se lo ricorda? Disponibile dal 1987, ha avuto una vita relativamente breve, con l'ultima versione che fu rilasciata nel 1998. Se ne trovano ancora dei resti in rete.

Ipertesto e Internet, utilizzato allora solo per la posta elettronica e il trasferimento di file, sembrano a Tim la soluzione ideale per l'archiviazione e la condivisione delle informazioni. Così, a Natale del 1990, fu attivato il primo server web del mondo, il cui accesso rimase riservato fino all'agosto dell'anno seguente.

La soluzione adottata si fondava su tre elementi fondamentali: l'HTML (HyperText Markup Language), il linguaggio per definire la struttura delle pagine e i link per collegarle fra loro; l'HTTP (HyperText Transfer Protocol), il protocollo che definisce le modalità di comunicazione fra client e server; l'URI (Universal Resource Identifier), oggi chiamato più comunemente URL (Uniform Resource Locator), l'indirizzo che identifica in modo univoco una pagina web.

La decisone del CERN, nel 1993, di non brevettare l'World Wide Web e di renderlo di pubblico dominio ne ha decretato il successo e il rapidissimo sviluppo.

Se il merito di aver inventato l'web è da ascrivere a Tim Berners-Lee, la sua diffusione anche verso un pubblico di non iniziati si deve ad uno studente dell'Università dell'Illinois, Marc Andreessen, che nel 1993 realizzò il primo browser a grossa diffusione, Mosaic, diventato poi Netscape e disponibile su diverse piattaforme. Microsoft non rimase a lungo alla finestra e con il rilascio di Internet Explorer iniziò la guerra dei browser, da cui Netscape uscì sconfitto.

Nel 1995 si affacciarono sulla scena, quelli che sarebbero diventati i giganti del settore, Amazon, Ebay, Yahoo! e nel 1998 fu la volta di Google. Sei anni più tardi, uno studente di Harvard, Mark Zuckerberg, fondò Facebook.

Oggi il World Wide Web è diventato sinonimo di Internet, tanto che in molti non riescono a distinguerli e pensano si tratti della stessa cosa. E allora c'è da chiedersi se l'evoluzione registrata soprattutto in questi ultimi anni rispecchia quelle che erano le aspettative dei pionieri della rete.

L'web e Internet sono quello strumento di democrazia che consente a tutti di poter esprimere le proprie opinioni, di tenersi informati, di accedere a informazioni un tempo inaccessibili, per questioni logistiche o economiche? E', in breve, strumento di libertà e di crescita?

Certamente lo è stato e per molti anni. Oggi, non lo è più o quantomeno non lo è altrettanto e i presupposti per il futuro non lasciano spazio all'ottimismo.

Lungi dal fare qui un'analisi accurata del fenomeno, sarà sufficiente delinearne alcuni aspetti, non certo positivi. Innanzitutto, l'affermarsi dei colossi della rete, che hanno finito per monopolizzarla, offrendo una vastissima gamma di servizi e condizionando i comportamenti degli utenti, spesso a loro insaputa.

Sono loro che decidono quali sono i post da pubblicare e quelli da cancellare, quali i siti web che possono godere di visibilità, quali le notizie cui dare maggiore o minore rilevanza, spesso in base a presunti algoritmi mai resi noti. Non esattamente quella che si definirebbe trasparenza.

Certo anche gli utenti fanno la loro parte, destinando gran parte del loro tempo in rete ad attività non proprio qualificanti, volte a soddisfare il loro narcisismo (postare sulla propria pagina Facebook) o una curiosità qualche volta morbosa (guardare la pagina Facebook degli altri).

C'è anche la possibilità di inviare un tweet, in cui magari si ironizza su quello di un uomo politico o di un qualunque personaggio pubblico. Del resto con 140 caratteri non si può fare molto di più. Su Twitter si possono condividere solo concetti molto semplici, è impossibile esprimersi in un modo anche minimamente più articolato. Ci si deve limitare a concetti facilmente comprensibili, che arrivano subito. Un paradiso per politici populisti, che parlano alla pancia degli elettori.

Non si può rinunciare nemmeno ad una puntatina su YouTube, per vedere le più recenti peripezie di un inconsapevole felino o le esternazioni improbabili di uno dei tanti youtuber di professione.

Era questa l'idea che si era fatta dell'web Tim Berners-Lee? Non proprio stando al suo libro "L'architettura del nuovo Web. Dall'inventore della rete il progetto di una comunicazione democratica, interattiva e intercreativa", che vale la pena di leggere.