Erano le prime ore di venerdì pomeriggio quando davanti alle telecamere della maratona mentaniana su LA7 è comparso lui il professorino Renato Brunetta, pardon … il presidente dei deputati forzisti come esige che lo si chiami.

Con il solito sorrisetto borioso Brunetta ha ostentato la sua crassa sicumera sulla coesione della coalizione di CDX che avrebbe garantito, senza se e senza ma, l'elezione di Paolo Romani a presidente del Senato anche perché ha svelato, come se fosse un segreto, “il vero nome non è Romani ma Berlusconi”.

Poche ore dopo, quando Salvini aveva già innescati i fuochi di artificio votando Anna Maria Bernini, il professorino si è riaffacciato alle telecamere de LA7.

Niente più sorrisetti beffardi e compiaciuti, ma solo tanta rabbia e vomitate di veleno nei confronti di Matteo Salvini, reo di aver tradito e rinnegato la coalizione.

In quei momenti sulla faccia di Brunetta si poteva decrittare ogni piega dello psicodramma che stavano vivendo Berlusconi ed i suoi fedelissimi in quella coalizione di CDX, tanto decantata come compatta ed affidabile.

Ora, checché se ne dica, il ricompattamento del CDX, dopo l'elezione di Maria Elisabetta Casellati alla presidenza del Senato, è di fatto solo apparente, perché:

1. Berlusconi è uscito con le ossa rotte dal braccio di ferro con Salvini, subendo la rovinosa perdita di prestigio alla quale i legionari di Arcore non si rassegnano;

2. Salvini non sembra assolutamente disponibile a rinunziare alla scalata di Palazzo Chigi che si propone di mettere in atto comunque, anche con il sostegno di forze non necessariamente interne al perimetro della coalizione;

3. i più autorevoli tra i legionari di Arcore già prima negavano che Salvini fosse il leader della coalizione, figuriamoci ora dopo il patatrac;

4. i forzisti hanno data prova di non essere disposti a seguire le volontà di Salvini facendo mancare i loro voti alla concordata elezione del pentastellato Fico alla presidenza della Camera;

5. alle consultazioni al Quirinale, come ha confermato Giorgia Meloni, FI, Lega e FdI si presenteranno separatamente e non come coalizione.

Si tratta, evidentemente, di scricchiolii non di poco conto che mettono in dubbio quel corredo di compattezza e coesione del CDX che sarebbe imprescindibile per proporsi al Capo dello Stato come credibile compagine di governo.

Ad uno scenario postelettorale già di per sé difficile ed ingarbugliato, quindi, si è sovrapposto nelle ultime ore anche l’imprevisto sfarinamento della coalizione che avrebbe potuto rappresentare, per Sergio Mattarella, una delle ipotesi di lavoro su cui ragionare.

Non è certo questa la prima volta che accrocchi preelettorali, spacciati come coalizioni, confermino la loro inaffidabilità creando difficoltà a chi deve individuare e scegliere la soluzione più corretta per assicurare la governabilità del Paese.

Un problema in più, perciò, per Sergio Mattarella.