«Se il tuo avversario ti scalfisce la pelle, maciullagli la carne e fratturagli le ossa; se ti spezza le ossa, togligli la vita».

Questo è scritto nel quarto capoverso della prefazione che introduce l’arte senza arte che è “arte nell’anima”, di Bruce Lee, nel suo famoso trattato di arti marziali Jeet Kune Do (JKD), pubblicato postumo dalla moglie Linda.

La reazione che qui suggerisce Bruce Lee non è naturalmente la moltiplicazione estremizzata della legge del taglione, che addirittura implica l’uccisione di chi proverebbe a renderci invalidi. E’, nel contesto di quel trattato, l’estremo rimedio nell’imprevedibilità del combattimento, il quale si accende nell’immediatezza e al di fuori della nostra volontà, e che in assenza di qualunque altro rimedio minaccia la nostra stessa vita o quella di un innocente.

Da quella che sembra una reazione non conforme si approda quindi a una reazione perfettamente conforme, determinata dalla qualità imprevedibile dell’azione e dalla sua immediatezza. Immaginando, ad esempio, che l’avversario sia un ubriaco che abbiamo preso in giro per strada e, voltandogli le spalle, questi prenda un pezzo di legno da terra e ci spezzi una gamba, la qualità dell’azione subisce un profondo mutamento. E la nostra reazione conforme sarà, tra eventuali grida di dolore, chiedere scusa all’avversario!

Sperando che la bravata non degeneri anch’essa nell’imprevedibilità, abbiamo imparato a non disturbare persone instabili.

Ma tra un estremo e l’altro esistono anche infinite sfumature. Proprio in casi di violenza estrema si rende la vita difficile a chi poi deve stabilire se, e come, ci sia stata conformità nella reazione, come l’eccesso o meno di legittima difesa. Purtroppo non esiste un’equazione precisa e simile a quelle che si usano in fisica per determinare l’esatta reazione di un ente sollecitato dall’azione di un altro ente.

Questi esempi sono tuttavia validi solo se li lasciamo vivere nel dominio dell’imprevidibilità e dell’immediatezza di eventi spiacevoli. Invece cambia tutto quando l’evento si è già manifestato e concluso anche nei suoi eventuali danni. Quest’altro tipo di eventi va a determinare reazioni di ordine esclusivamente psicologico. Poi da qui si potranno anche sviluppare delle reazioni di altro genere, ma tutte determinate dallo stato mentale che decidiamo d’impostare.

Questo mi ricollega a quello che scrivevo l’altro ieri a proposito del nostro superpotere che può farci migliorare notevolmente la qualità della vita; e per far funzionare al meglio tale superpotere occorre imparare a valutare la qualità delle azioni intese, nel nostro caso, come eventi spiacevoli. In tal modo non dovremo “controllare” le nostre reazioni ma soltanto renderle conformi alle azioni.

La distinzione tra “controllo” e “conformità” è importantissima. Il primo termine può essere frainteso nel senso di dovere sopportare, reprimere, e quindi conservare disagio o rabbia latente. Ad ogni modo una forzatura caratteriale. Invece parlando di conformità non dobbiamo affatto forzare il carattere, ma forgiare quest’ultimo rendendoci conto dell’importanza dell’evento e della sua capacità assoluta o relativa di influenzare la nostra vita.

Anche in questo caso occorre distinguere tra capacità assoluta e relativa. La prima non esiste quasi mai; mentre la seconda è sempre presente. Ogni evento, infatti, ha quasi esclusivamente capacità relativa. La sua influenza temporale è limitatissima. Per esempio un tradimento tra amici o colleghi, come la rottura di un rapporto sentimentale, dureranno tantissimo solo se noi decidiamo di crogiolarci nel ricordo nostalgico del “quant’era bello e appagante”, anziché tendere il prima possibile al ricordo felice del “quanto è stato bello e appagante”.

Perdere il lavoro è altrettanto relativo. Durerà se ci si soffre dietro; sarà immediatamente archiviato se si passa all’azione (cercandone un altro, per esempio).

La qualità dell’azione (evento), dunque, la decidiamo quasi sempre noi. E se decidiamo che l’evento è insopportabile e definitivo, allora la reazione sarà devastante. Per noi, per gli altri, o per tutte le parti in causa.

Quasi tutti i problemi della vita, se non proprio tutti, sono occasioni di allenamento. E poiché nella maggior parte dei casi sono anche stupidaggini (cfr: l’articolo precedente), potremmo anche riuscire a classificarli come sassi di diversa dimensione che impattano sul lago calmo della nostra mente. Il sassolino provocherà appena qualche increspatura concentrica, e durerà pochi attimi prima di tornare allo stato di originaria quiete.

Qualunque sasso, per quanto grande e pesante, potrà fare increspare le nostre acque solo per qualche minuto. Figuriamoci come si possa pensare di poter stanziare sul ricordo di quelle increspature per giorni, mesi o anni, segnando infine interi aspetti caratteriali. Si deve, invece, osservare il sasso che poi giace anche lui calmo sul fondo, e trarne lo scopo e l’eventuale reazione costruttiva.

Paradossalmente - e lo avrete già intuito - non è necessaria nessuna equazione per stabilire se una reazione psicologica sia conforme all’evento subito, poiché è sufficiente osservare che qualunque reazione di perdurante afflizione e sgomento è già di per sé non conforme. L’unica eccezione, come nell’esempio tratto all’inizio citando il grande cultore di arti marziali Bruce Lee, è l’immediatezza e imprevedibilità di azione e reazione assieme, inevitabili e svolte nel medesimo istante.

In conclusione, quegli stati di disagio, scoraggiamento, rabbia, che si  determinano in noi, non dovrebbero che durare pochi istanti o nulla; e mai potrebbero determinare le asprezze che poi ci portiamo dietro nella vita. Questo sarebbe uno stato culminante (o illuminazione, direbbero altri), ma da questo a farsi sopraffare dalle emozioni c’è davvero un ampissimo margine per migliorare.

📸 base foto: Emily Wills Photography da Pixabay