I bambini udenti mostrano una propensione all’allerta uditiva  a partire già dalle primissime fasi evolutive.  In presenza di stimoli sonori di intensità media o elevata il neonato mostra, in genere, già una risposta di allerta, sussultando e strizzando gli occhi. È, inoltre, molto probabile che la stimolazione uditiva ricopra un ruolo importante nello sviluppo sinaptico dell’area uditiva centrale già dalle prime fasi della gravidanza.

Il bambino con una ipoacusia congenita non riceve questo tipo di stimolazione uditiva e per questo non sviluppa un’allerta spontanea per i suoni.

Questa condizione è davvero molto simile a quella descritta da molti genitori di bambini che vengono poi diagnosticati come autistici e che già nei primi mesi di vita sembrano non mostrare un’allerta spontanea ai suoni improvvisi, in presenza dei quali non modificano il loro comportamento, ad esempio non sorridono, non scoppiano a piangere, non si immobilizzano, non strizzano gli occhi per ricercare la fonte del suono, non si voltano se vengono chiamati per nome.

La distinzione netta tra due condizioni, quella della sordità e quella dell'autismo, induce, inoltre, a ritenere che tra le persone sorde ci siano molte persone autistiche, sottovalutando la possibilità, invece che, al contrario, sia l'autismo a non essere, come comunemente si ritiene, uno stato di incapacità a comunicare e socializzare, ma che possa essere, invece, una condizione fortemente caratterizzata da atipie nella percezione uditiva, causate da alterazioni organiche atte a determinare la trasmissione e/o la ricezione del suono, fino a oggi sottovalutate e non diagnosticate.

Guardando le cose da questo punto di vista, non ci sarebbe sovrapposizione tra due condizioni, ma iperacusia, ipoacusia funzionale, distorsioni nella lateralità uditiva che si osservano di frequente nelle persone autistiche potrebbero essere considerate come segni clinici di specificità uditive, facendo decadere la validità della diagnosi di autismo.

Uno dei primi studi sui problemi di udito nelle persone diagnosticate come autistiche è stato realizzato dal Medical Research Council di Londra nel 1977.

Con questo studio i ricercatori hanno voluto testare il funzionamento dell'orecchio medio e la capacità di udire toni puri in 16 bambini diagnosticati come autistici di età compresa tra 8 e 15 anni.

Lo studio ha rilevato in alcuni di questi bambini una perdita uditiva parziale e nella maggior di loro risposte anomale a livello dell’orecchio interno.

Nei decenni successivi, i progressi tecnologici hanno fornito ai ricercatori strumenti in grado di decodificare la capacità di udire i suoni a frequenze specifiche e di valutare il modo in cui  le membrane dell'orecchio medio reagiscono ai cambiamenti della pressione atmosferica.

Grazie a questi strumenti, i ricercatori hanno potuto verificare con maggiore accuratezza l’influenza di difficoltà uditive su quelle caratteristiche individuali generalmente attribuite all’autismo, soprattutto in relazione allo sviluppo del linguaggio verbale e alla capacità di riconoscere le emozioni degli altri in base al comportamento non verbale.

Uno studio innovativo del 2016 ha rilevato che circa la metà dei bambini autistici ha almeno un tipo di problema di udito periferico, a fronte di un 15% dei coetanei con sviluppo tipico. E questi problemi uditivi si manifestano in modi sottili e non ovvi, ad esempio con una  sensibilità insolita ai suoni o con contrazioni muscolari involontarie nell'orecchio medio che distorcono i suoni. In alcuni casi si osservano segni che lasciano ipotizzate che la coclea amplifichi e trasmetta il suono in una modalità atipica.

"Le famiglie sono un po' stupite quando diciamo loro: "Stiamo vedendo questi tratti, vi dispiace se escludiamo l'autismo qui?" racconta il ricercatore Jean Mankowski che lo ha realizzato.

Lo studio ha anche messo in evidenza un aspetto molto interessante: i bambini autistici che mostrano difficoltà di udito a frequenze intorno ai 2.000 hertz - la gamma media per il linguaggio umano – presentano anche un linguaggio verbale distorto.

"Non mi aspettavo di trovare una relazione forte con le capacità di comunicazione", ha detto a tal riguardo la ricercatrice Carly Demopoulos, neuropsicologa presso l'Università della California, San Francisco.

In questi bambini i suoni del linguaggio verbale in entrata sono alterati in qualche modo e questo ostacola la loro capacità di comprendere e replicare quei suoni.

L’incapacità di udire il suono della propria voce o le distorsioni in questo processo possono limitare in maniera significativa la possibilità di imparare a parlare in maniera chiara.

Molti bambini diagnosticati come autistici parlano in modo discontinuo, monotono o inarticolato. Un terzo di questi bambini ha un linguaggio verbale ridotto al minimo e difficoltà di elaborazione uditiva concomitanti.

Le difficoltà di elaborazione uditiva nell'autismo potrebbero manifestarsi come ipersensibilità ai rumori o incapacità di distinguere i suoni, secondo altre linee di ricerca. Ad esempio, in  riunioni affollate, le persone senza problemi di elaborazione in genere riescono a seguire una singola conversazione ignorando le risate o, ad esempio, il tintinnio dell'argenteria in sottofondo.

"I loro cervelli sono in grado di focalizzare l'attenzione su questo flusso di suoni che stanno cercando di interpretare", dice la neuropsicologa Helen Tager-Flusberg della Boston University. Ma "alcuni bambini autistici hanno grandi difficoltà con questo".

Queste difficoltà possono contribuire in modo significativo a creare problemi nel linguaggio verbale.

Tager-Flusberg e i suoi colleghi (2015) hanno monitorato l'attività cerebrale di un gruppo di adolescenti diagnosticati come autistici e di un gruppo di adolescenti con sviluppo tipico, mentre sentivano suoni inaspettatamente forti o deboli in mezzo a un frastuono di sottofondo che imitava i rumori consueti di una festa.

I ricercatori hanno osservato che l’attività cerebrale degli adolescenti variava notevolmente, ma solo nei giovani con un linguaggio verbale minimo le risposte neurali erano correlate alle reazioni ai suoni nella vita di tutti i giorni, come misurato da un questionario compilato dai genitori degli adolescenti.

Uno studio di follow-up pubblicato su Autism Research ha fornito un sostegno ulteriore alla tesi del legame tra l'elaborazione del suono e l'abilità verbale, rilevando che gli adolescenti e i giovani adulti diagnosticati come autistici con linguaggio verbale molto ridotto mostravano difficoltà a distinguere il proprio nome da quello di qualcun altro e una risposta neurale al suono del loro nome diversa rispetto a quella osservabile nei giovani diagnosticati come autistici verbali.

"Non è che il loro cervello non raccolga il suono da solo, ma non riesce ad attribuire importanza al suono", ha spiegato Tager-Flusberg. Tali risultati possono aiutare a comprendere perché alcuni persone diagnosticate come autistiche spesso si sentono sopraffatte in ambienti rumorosi.

Si avverte sempre più, per questo motivo, l’esigenza di studi su larga scala orientati soprattutto a rilevare la prevalenza di deficit uditivi e di sordità nelle persone autistiche, considerando le conseguenze rilevanti che un tale cambiamento di prospettiva comporterebbe per le persone fino o oggi diagnosticate come autistiche, sia dal punto di vista della percezione di sé sia degli eventuali interventi di supporto.

Inoltre la valutazione logopedica del bambino autistico non dovrebbe più prescindere da una indagine individuale accurata delle sue competenze percettivo-uditive, mediante stimoli sonori e verbali specifici, proprio per individuare interventi adeguati e realmente efficaci.


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