Il Giappone vuole riversare in mare l'acqua radioattiva utilizzata per raffreddare il nocciolo del reattore nucleare di Fukushima
Qualcuno ricorda quanto è successo in Giappone nel 2011? L'11 marzo un terremoto di magnitudo 9 colpì la costa nord-orientale del Giappone, provocando uno tsunami con onde alte 15 metri.
La centrale nucleare di Fukushima resse al terremoto, ma non del tutto ai danni causati dallo tsunami con i sistemi di raffreddamento che nei giorni successivi smisero parzialmente di funzionare e con il nucleo del reattore che dovette essere raffreddato utilizzando acqua di mare.
Miliardi di dollari di risarcimento sono stati poi pagati dall'azienda proprietaria dell'impianto a coloro che sono stati vittima del disastro.
Adesso il Giappone si trova a dover decidere che cosa fare con quell'acqua che evito l'esplosione del nucleo di uno dei rettori ed adesso è contaminata, perché radioattiva.
Il governo, che comunque dice che ancora non è stata presa alcuna decisione finale, è intenzionato a scaricare quelle tonnellate di acqua contaminata in mare, un milione di tonnellate, a partire dal 2022.
I gruppi ambientalisti e le associazioni di pescatori si oppongono all'idea, con quest'ultime che paventano la possibilità che i consumatori smetterebbero di acquistare il pescato della zona, ma molti scienziati affermano che il rischio ambientale sarebbe comunque limitata, grazie ad un processo di diluizione che verrebbe effettuato prima che sia rilasciata in mare. Lo smaltimento, richiederebbe comunque anni.
Una decisione definitiva dovrebbe essere presa entro la fine di ottobre, secondo l'agenzia di stampa Kyodo. Nel frattempo, la maggior parte degli isotopi radioattivi dell'acqua contaminata sono stati rimossi, ad esclusione del trizio, che non può essere eliminato. L'acqua in parte purificata dal procedimento è stata poi immagazzinata in enormi serbatoi che però si riempiranno entro il 2022.
Secondo alcuni scienziati l'acqua radioattiva di Fukushima ricersata nella vastità dell'Oceano Pacifico finirebbe per costituire un rischio minimo per l'ambiente e i consumatori, per la scarsa pericolosità del trizio.