Speriamo vorrete tornate sul nostro articolo dedicato a Enzo Tortora, un poco trascurato perché sembra, ed è, una vicenda molto lontana:  scomoda, agita sentimenti contrastanti, confonde le acque già paludose della storia recente, destabilizza il costrutto di un’opinione, non permette di schierarsi politicamente né di tifare un’ideologia, per sbrindellata che sia. Il personaggio era popolare ma non pop, troppo sofisticato per attirare l’attenzione oggi.

Tuttavia anche le ombre del passato non smettono mai di vivere intorno a noi, come nel delizioso film “Fantasmi a Roma”, del 1961; e vieppiù è stimolata la curiosità, dal momento che uno dei grandi accusatori di Enzo Tortora è rispuntato nella “volgare” cronaca di pochi anni or sono. Forse perché ha dichiarato di volersi mettere in ginocchio dinanzi alla famiglia Tortora, ricevendo una gelida indifferenza da parte delle figlie di colui che aveva ingiustamente bollato come criminale double face? 

No, per un fatto assai più tribale, non così ricercato come comporterebbe la sua figura di bandito gentiluomo, ragazzo di bell’aspetto, curato, “collaboratore di giustizia” nell’ambito delle indagini sulla camorra, elegante definizione che omaggia al pari di una laurea honoris causa.

Tutto inizia…non si sa bene come e quando. Sabine Maccarrone è una donna di 39 anni, nata in Svizzera da famiglia italiana, ultima di quattro sorelle e unica a spostarsi dalla Confederazione, nel 2007. Non intende raggiungere i genitori nelle Marche, bensì allungarsi fino in zona trapanese, dove non ha nessuno ma, sosterrà una testimone. voleva guardare in faccia un ex fidanzato fedifrago: che prima, in Svizzera, pareva preparare le nozze insieme a lei poi, durante quella che doveva essere una breve vacanza al paese natio in Sicilia, sposa un’altra incinta.

Il 16 aprile di quell’anno una anziana, in grande affanno, si presenta ai carabinieri spaventatissima, perché un pozzo della sua casa in comune di Mazara del Vallo, che in genere viene utilizzato per discarica, e resta semiaperto, ora è cementato: se n’è accorta tornando a casa da una commissione ed è subito scattato l’allarme. Perché tanta furia, si dirà?

La tizia è madre di Giuseppe D’Assaro, mica pizza e fichi. Il nome di questo signore è emerso, sui media, in collegamento con la vicenda della piccola Denise Pipitone, sparita il primo settembre 2004, appunto in quel paese.

La storia è nota; il punto saliente consiste nel fatto che D’ Assaro era zio materno di Jessica Pulizzi, processata e assolta per il ratto con sospetto omicidio della sorellastra di quattro anni; il figuro si era infilato nell’affaire Pipitone, facendo circolare l’idea (non accolta dagli inquirenti) di aver avuto un ruolo nella soppressione della bimba. Ricordiamo che l’uomo aveva già subito una condanna per omicidio, ai danni di un pensionato durante una rapina, ed è oggetto di altre gravi accuse di cui è difficile conoscere gli esiti.

Orbene, si va a smantellare la copertura del pozzo e dentro si trova un cadavere, quello di Sabine, massacrata, forse gettata lì dentro ancora viva.

Nel processo che seguirà, qualche anno dopo,  assisteremo a una serie di colpi di scena. D’Assaro si autoaccusa senza indugio del delitto, ma solo come esecutore, indicando come mandante Gianni Melluso, che si trova in zona nel suo andirivieni dalle carceri (per reati comuni, questa volta) e ogni tanto esce con permessi premio. Rivediamo “Gianni il bello” sempre in gran forma, nonostante l’età (l’anno di nascita è indicato a volte come 1959, altre, come più probabile, nel 1956). Suo difensore è Giacomo Frazzitta, lo stesso legale che cura gli interessi di Piera Maggio, madre di Denise.

Secondo le ricostruzioni accusatorie Sabine, giunta nel territorio, a Sciacca, priva di particolari competenze se non l’amore per i cani, va a svolgere servizio di volontariato presso un’associazione di recupero dove si ricoverano i randagi. Pare che i tentativi di lavoricchiare nei bar non siano andati a buon fine. La direttrice del canile, Francesca Turturici, e una sorella della vittima, in aula indicheranno senza esitazioni in Melluso sorta di “fidanzato” della defunta, che sembrava farci affidamento a tutto campo. 

Tuttavia per un periodo la donna si accompagna anche  a un giovane con pesanti problemi di tossicodipendenza, la cui sfrontata deposizione in aula non può non colpire, così come quella di un paesano detto ”Ballantine” che, come nel più classico romanzo criminale di quelle terre, dice e non dice; e recrimina di trovarsi coinvolto in una cosa di cui non saprebbe nulla, perché ha da badare agli animali e non perde tempo con gli affari altrui.

Lo schieramento è pertanto il seguente. Le due suddette insistono che Gianni fosse il compagno ufficiale della poveretta. L’altro, il transitorio e turbolento accompagnatore della giovane, tale Foresta, sarebbe stato visto da Ballantine picchiarla, ma lui nega e il pastore minimizza. E’ il turno dell’imputato.

Lo sappiamo, Gianni è affabulatore e quel che racconta avrebbe un senso. Egli si definisce “femminaro”, ama andare con le donne, ma di certo non era impegnato con la ragazza svizzera: dopo un periodo trascorso a far sesso, erano divenuti buoni amici, come gli capita, par di capire, con tutte le ex. 

Lui definisce Sabine “una bravissima ragazza”, che ha cercato di aiutare; non c’era posto nella sua casa d’appoggio quando era in libertà, presso la matrigna, e chiede a D’Assaro di ospitarla (una scelta, in verità, poco accorta per qualcuno a cui si dice di voler bene); si rammarica per le cattive frequentazioni dell’amica (allusione al signor Foresta), ma lui non era geloso e lo fa intendere con gentile condiscendenza: Sabine era una delle tante e lui si occupa al massimo di rapine in banca; non è noto né come violento, men che meno come passionale. Non lo era da giovane, perché avrebbe dovuto diventarlo con una sconosciuta frequentata per poco tempo? Come dire: una poveraccia sbandata che aveva in lui l’unico sostegno, anche economico.

D’Assaro viene sentito in video, dalla prigione dove sconta la pena come killer materiale, e conferma quanto aveva già affermato. D’altro canto, al tempo abitava con lui, e sua madre, una badante/convivente: Yamina Reguiai Bent Hedi, tunisina, che verrà accusata di aver aiutato l'assassino a nascondere il corpo, ma con il non luogo a procedere per prescrizione del reato. In realtà l’interrogatorio di costei, non così pratica di lingua italiana, piuttosto di siculo, è l’occasione, per la difesa di Melluso, di insinuare dubbi sul ruolo di questa donna: la quale avrebbe potuto soffrire di gelosia nei confronti dell’ospite straniera,  che D’Assaro definisce “sbrigativa” nel concedersi, anche a lui stesso.

La facciamo breve: dopo varie peripezie giudiziarie, Gianni il bello è stato assolto definitivamente nel 2019.