Il signor Vittorio Feltri ha da tempo assunto il ruolo di provocatore. Le sue freddure assiomatiche o prive di argomentazioni non nascondono anche l’illogico disprezzo per l’obiettivo che egli decide di colpire di volta in volta. E’ un giornalista; anzi lo era perché si è dimesso dopo svariati procedimenti dell’Ordine a suo carico. Ordine che lui definì «ente inutile», secondo me con ampie ragioni per poterlo definire “inutile” (visto che non funziona), ma non certo per la supposta censura che ha ritenuto di patire, causa peraltro delle sue reiterate offese e diffamazioni a destra e manca (per alcune delle quali diverse volte condannato in tribunale). Il dovere deontologico non ha nulla a che vedere con la censura, ma è ovviamente un codice di comportamento a cui si è tenuti. Altrimenti, senza fregiarsi del titolo, si può scrivere e parlare come si vuole. Come in effetti egli fa, assumendosi senz’altro le proprie responsabilità.

In un passato ormai remoto, è stato anche molto acuto, ragionevole, e perfino piacevole, al di la delle sue chiare posizioni politiche che personalmente non ho mai condiviso. Ma nonostante l’intelligenza, oggi evidentemente preferisce questo ruolo da “odiatore” che peraltro è funzione ormai gettonatissima presso talk show e media in genere, per non parlare delle reti social: lì si sbanca del tutto! Non è certo il solo ad essersi convertito o aver finalmente sposato la propria natura oscura che attrae gli amanti dello scandalo e delle emozioni (surrogate) forti.

Ma io non voglio parlare del signore in questione, autore di quel tweet di ieri che ho riportato nell’immagine. La critica al suo profilo, e quelle sue dichiarazioni, sono solo l’esempio di una cultura. Ed è questo quello di cui vorrei parlare.

Il moderno borghese alla Feltri è diverso dal moderno proletario stupido che lo segue e ne assimila acriticamente il pensiero. Per esempio coloro che ho più volte indicato come pensionati analfabeti o integerrimi lavoratori che si sacrificano per un tozzo di pane duro, convinti del loro eroismo che sopporta, o ha sopportato, con “dignità” la condizione di simil-schiavismo in cui versa. Questi, essendo talvolta stupidi, e molto più spesso analfabeti, accolgono le tesi del benestante di turno e si rifugiano in questo pensiero magico che esalta la sindrome di Stoccolma, avversando quelli più poveri di loro.

La figura del benestante è invece diversa perché egli agisce con cognizione di causa. E’ tutt’altro che stupido – tranne le ovvie eccezioni – e ciò che egli teme davvero è la perdita della sua condizione personale o famigliare di medio/alta borghesia. Una condizione scimmiottata anche da individui appartenenti alla bassa borghesia, che vivono al di sopra delle proprie possibilità.

Persone normali che potremmo trovare tra politici, dirigenti, conduttori TV, giornalisti popolari, e potenzialmente ogni persona che deve il suo ruolo a qualcun altro, ovvero che deve proteggere il proprio prestigio da inattese scalate da parte delle classi meno abbienti (operai, impiegati, partite iva, e proletariato in genere). Quando non devono difendersi ma chinarsi, allora il “qualcun altro” è solitamente il “super ricco”, potente di turno che può arricchire o impoverire chicchessia a seconda di come gli gira. Per fare un esempio: un Feltri rispetto a un Berlusconi; senza voler qui intendere che il primo dipenda dal secondo. Vivaddio, è un esempio per capirsi.

In difesa o per chinarsi – ma quest’ultima è pur sempre una posizione di difesa – si agisce comunque con cosciente perfidia. Si è disposti a qualunque pensiero, dichiarazione, azione, pur di consolidare e magari accrescere la propria posizione sociale e popolarità. Ed è dunque sostanziale la differenza dal proletario stupido rispetto al benestante odiatore. Come è differente tra questi e il super ricco, il quale invece non ha motivo di avversare i poveri o le classi meno abbienti con disoccupati e quant’altro, poiché trova nell’alta/media borghesia lo strumento che tiene in equilibrio i propri interessi. Potremmo dire: c’è già chi fa il lavoro sporco.

Insomma, il benestante è strumento come tutti gli altri. Ne è cosciente e non si lagna, perché non gli conviene davvero farlo. Solo, purtroppo, che se ne trovano anche di molto cattivi e senza scrupoli, per via di questa loro posizione instabile. Poi chiaramente ci sono anche implicazioni di ordine psicologico, come il non riuscire ad andare oltre una certa soglia di ricchezza, posizione, potere, popolarità. La stagnazione fa incattivire ancor di più alcuni di loro, perseguendo ogni via pur di entrare nella cerchia superiore.

Un super ricco non attaccherebbe mai il Reddito di Cittadinanza come fa Feltri. Berlusconi lo ha addirittura difeso. I super ricchi rimangono abbastanza impassibili rispetto al disoccupato che stenta a sfamarsi piuttosto che questi riesca a campare meglio in attesa di un’occupazione davvero dignitosa. Invece a un benestante potrebbe dar fastidio la seconda cosa. Ed è logico, non sono super ricchi e vogliono mantenere le distanze, e talvolta hanno anche necessità di trovare personale da sfruttare: in qualche azienducola, piuttosto che per le pulizie di casa, o a spremersi le meningi e la salute in una redazione di qualche giornale delirante. Così è in genere, al di la delle eccezioni.

Questa è la cultura che io individuo nel pensiero di Feltri.
Non ce n’è altra.

Ma sorge tuttavia un certo disappunto nel dovere constatare – ancora una volta! –  quell’analfabetismo così diffuso che permette a certi pensieri di vivere ed essere perfino dibattuti. Quella frase che riporto qui nuovamente: «Insisto. Nel 2018 ancora non esisteva il reddito di cittadinanza eppure non c’erano morti di inedia in Italia. Come mai adesso tale reddito se abolito farebbe crepare di fame milioni di persone?». Non è una frase che può far presa in un cervello. Ma Feltri invece sa che attecchisce e si propaga in parecchi minus habens. Non è stupido.

Basterebbe la reazione di un singolo neurone per canzonare la drammatica povertà di stile della frase, la sconclusionata essenza delle parole che la compongono, perculando sonoramente l’odiatore dei poveri di turno: «Ma quando dai casa a un senza tetto, pensi poi di togliergliela perché prima dormiva bene anche sulle panchine?». Poi, mettendo in moto sinapsi più audaci ci si può anche spingere a costatazioni un pelino meno banali; si pensa a cose come l’evoluzione della specie umana, che nel consolidare la propria etica prova a creare sistemi di vita equi e sostenibili per tutti. Vedi la sanità pubblica: e come si faceva prima? Vedi lo schiavismo: e chi lo rimpiange? Vedi la donna: meglio quando stava solo tra i fornelli e senza diritto di voto? Vedi gli altri paesi europei: perché loro rinforzano i sussidi anziché abolirli?

E così via, scatenando a piacere le sinapsi che qualcuno mantiene aggrovigliate, per dire infine: vedi tutte ‘ste cose e abbi la decenza di tacere!