Quando uno nasceva in Italia, da famiglia “indigena”,  fino a non moltissimo tempo fa si ritrovava battezzato di default; seguiva la trafila della prima comunione, la cresima, eventualmente nozze in chiesa. L’unione religiosa provocava una bizzarra situazione: prima del 1970, anno di introduzione del divorzio, se ci si fosse coniugati col rito concordatario si sarebbe sempre potuto ricorrere all’annullamento della Sacra Rota; se ci si limitava al rito civile, erano guai, sposati per sempre. Va ricordato che, dal 2015, in Italia esiste il divorzio breve.

Ormai l’anticlericalismo è un’ideologia, e come tale la rifiutiamo. La storia della chiesa cattolica, mirabilmente raccontata, con un pizzico di ironia e il consueto disincanto, da Indro Montanelli nella “Storia d’Italia”  (collaboratori transitori, Mario Cervi e Roberto Gervaso) è caotica e incongruente come tutte le narrazioni individuali e collettive che l’essere umano crea, un po’ sul serio, un po’ per celia e un po’ per non morire.

Con la laicizzazione della società italiana, molti hanno abbandonato l’antica fede. L’esempio è venuto, come sempre, da persone di spettacolo, pronte a collocarsi nelle nuove correnti di pensiero, soprattutto quelle di derivazione orientale.

Il primo film dove ufficialmente compare il mantra “Nam myoho renghe kyo” dovrebbe essere “L’ultima corvée” (con Jack Nicholson, regia Hal Hashby, 1973), ma se esistono precedenti, sono ben accette correzioni. Nella mirabile pellicola si invita il detenuto a rassegnarsi alla sua sorte e non smettere di recitare l’invocazione.

Molti di noi sono passati dalla pratica di tale filosofia di pensiero: ma lo è? Quando ci si approccia a nuovi culti, così lontani culturalmente e antropologicamente da noi, si naviga sempre un po’ a vista. Già la differenza di semiologia è legata a un’impostazione lessicale e concettuale tutta diversa, che arriva in occidente tradotta dall’inglese e poi da questo in ciascuna lingua, col rischio di perdere per strada troppi pezzi di ragionamento: dunque si finisce nel corner della fede acritica. Per quanto riguarda l’Italia, qualcuno ha coniato la definizione di “cattobuddisti”, che rende l’idea.

Per gli ostili alle novità, si tratta di una psicosetta, non esaustiva di tutto il corpus, transitato dall’India alla Cina e arrivato qui diviso in branche: da quella classica (propagandata per esempio da Richard Gere e alquanto politicizzata), che fa capo al Dalai Lama, a quella giapponese, chiamata “Soka Gakkai” che fa riferimento a Nishiren Daishonin, di cui è leader riconosciuto il giapponese Daisaku Ikeda (classe 1928), peraltro soggetta a scismi nel corso del tempo.

Non ci addentriamo in questioni dottrinali, che saranno ben conosciute o, in caso contrario, ciascuno potrà approfondire, nella loro essenza fideistica e nel modo in cui si sono diffuse.

Di fatto, se si è bazzicato l’ambiente, magari sulla spinta della solita crisi esistenziale, e l’adesione non è durata nel tempo, i motivi possono essere molti. Noi ce ne siamo allontanati con l’idea che buddista si è in potenza, e l’atto non è strettamente necessario. I riti, peraltro sospesi in tempi pandemici, sono mutuati dalle abitudini occidentali; a nostra impressione, possono riguardare solo il singolo, come entità a se stante e portatore del germoglio anche senza condivisioni e sedute (dette Zadancai) a cui spesso la gente non partecipa, peraltro: perché il buddista è prima di tutto libero, al limite anche di delinquere secondo schemi classici, senza per questo cessare di essere parte del tutto (e infatti ci risulta che qualche criminale si sia accostato in costanza o previsione di reato).

A cosa porta schierarsi sotto una bandiera? Dipende dal perché lo si è fatto. Se si agisce per opportunismo, come succede nella maggior parte dei casi, si giunge spesso a una posizione di potere, dalla quale poi si è liberi di cambiarla, di crearne di nuove e sventolarne secondo convenienza.

Prendiamo invece il caso della più o meno sincera buona fede, o almeno quella che il singolo percepisce come tale. Per questa fetta di umanità, abbracciare una causa è sempre sconsigliabile, anche se ci rendiamo conto che l’animo è assetato di utopie e il signor Georg Hegel è difficile da scansare, almeno nella nostra civiltà. Forse un po’ più di Shopenauer sarebbe salutare. Un pizzico di Bertrand Russell e appena una carezza a Marcuse, non danneggiano la salute: ma poi perché i pensatori idolatrati sono sempre maschi?

A parte la sbandata femminista, torniamo sui binari di un’indagine dentro il percorso degli umani, toccando, per brevità, solo alcune delle moltissime boe che punteggiano il mare in cui nuotiamo.

La politica è l’alter ego della religione, anche se molti hanno coniato le doppie etichette che ci fanno rabbrividire, pur se molto diverse tra loro: cattocomunista, nazionalsocialista, liberaldemocratico, e via dicendo: una trappola per attirare adepti. Occorre anche diffidare del cinismo di maniera: sono tutti uguali, non avete ancora capito che?..., e via di questo passo. Come ammoniva Paolo Villaggio, non ascoltate chi vi vuole escludere dalla grande torta.

Giusto, caro Paolo, com’era umano lei. Tutto sta a vedere cosa comporta entrare in quel dolciume, che coccola, blandisce, seduce…all’inizio.

Ai tempi di un nostro certo impegno eravamo armati di ardore peggio di Giovanna D’Arco. In breve tempo, la dolce vita capitolina in cui si veniva introdotti, tra suite d’albergo e ristoranti di fama, stava per ghermirci. Ritrarsi ci fece lambire dalla stessa sorte della pulzella d’Orléans.

Dopo tante incursioni nelle idee, sempre pericolose se ad esse si lega un’ideale e non un concetto strutturato, approdammo alla decrescita felice. Ci capitò di conoscere l’eminente filosofo/economista Serge Latouche, che ha corposi legami con l’Italia e dunque conoscenze comuni con tanta gente, e noi tra questi. Avemmo l’ardire di fargli omaggio di un nostro libro, acquistandone peraltro uno suo, ma fummo subissati di critiche e di atroci pettegolezzi su di lui: a chi dare retta? Come inquadrare un pensatore, mente raffinatissima al punto che oggi, nel 2021, si stanno applicando le sue teorie?

Nel momento in cui scriviamo ci scorrono nella mente le tante battaglie regolarmente perse, le cose che ci hanno fatto amare e odiare, citiamo a caso, forti (ma sarebbe meglio dire deboli) di un acculturamento pop inevitabile.

John Lennon avvertiva della futura sorte del working class hero: ma Chapman, dopo averlo ucciso, si diede l’alibi etico di aver eliminato un nababbo radical chic; i nostri cugini o amici maggiori erano maoisti e li abbiamo visti pontificare dalla loro villa al mare; passeggiavamo nella abbagliante cornice di via Capo Santa Chiara, a Genova, vicino ai castelli in stile Coppedé: in seguito ci dissero che mentre noi andavamo a scambiare languide tenerezze, lì forse si stava organizzando un colpo di stato; che Licio Gelli tramava a due passi da casa nostra; che Mani Pulite era un ribaltone; che Pier Santi Mattarella (e altri come lui) dovettero soccombere per mano definita mafiosa, ma strumento in mano ad altri pupari. E potremmo continuare.

Noi ci abbiamo provato, a scandagliare, in tante vite (o morti)  da Padre Pio a Edoardo Agnelli, da Charlie Chaplin a papa Luciani, e vi proponiamo i nostri timidi, incauti, ma sinceri tentativi; e come tutti coloro che si dichiarano onesti e trasparenti, probabilmente avremo fatto molti danni. Eccovi ancora la nostra proposta. Dopo Columbus I, che  abbiamo qui pubblicato diviso in articoli, segue “Columbus II” e “Complottista io?”. Grazie dell’attenzione e…

…e d’altronde, Vittorio Gassman diceva di sé “ Sono molto intelligente, ma non capisco niente”. E se non ci riusciva lui…