Una risoluzione delle Nazioni Unite (ONU) sulla “necessità di raggiungere, il prima possibile, una pace completa, giusta e duratura in linea con la Carta delle Nazioni Unite”, approvata con 141 voto a favore, 7 contrari e 32 formalmente astenuti ma comunque contrari in pectore (tra cui Cina, Iran, India e Cuba…): questo ci ritroviamo ad un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, o del proseguimento dell’invasione della stessa da parte della Russia iniziata nel 2014 in Crimea, ma passata sotto silenzio per 8 anni.

Trecentosessantacinque giorni in cui nessuno è stato in grado di prevenire, scongiurare o fermare la lenta ma inesorabile distruzione di un Paese e l’inevitabile strage di civili e militari; ci siamo meravigliati degli orrori della “guerra”, come se la storia non ce li avesse già descritti dettagliatamente, e come se l’attualità più o meno recente non si meravigliasse ogni giorno di come l’occidente apra e socchiuda gli occhi, talvolta a comando, sugli ancora numerosi conflitti sparsi per il mondo; abbiamo condannato la guerra e paradossalmente inviato armi per fermarla, sottintendendo un incremento dell’impegno anche da parte dell’industria bellica; abbiamo difeso a spada tratta la sovranità delle Nazioni, anzi, dell’Ucraina, in nome di quel diritto internazionale altrove vituperato senza alzate di scudi; abbiamo applaudito senza se e senza ma il Presidente Zelensky, già attore comico, nelle sue innumerevoli apparizioni quando ha eretto il popolo ucraino, suo malgrado, a paladino della libertà e della giustizia, esortandolo ad una resistenza orgogliosa e nobile quanto drammatica e luttuosa; abbiamo assecondato il malconcio Biden nei suoi show a sorpresa in cui elargisce democrazia a stelle e strisce; abbiamo permesso all’autocrate sanguinario Putin di considerarsi l’ultimo custode di quei valori occidentali che ci vantiamo di aver superato, svalutandoli e svendendoli ad un cieco smisurato progressismo globale; abbiamo, infine, delegato di fatto l’unica flebile speranza di mediazione a Xi Jinping e Erdogan, i rappresentanti di due dei Paesi meno democratici al mondo, dove ancora esistono la pena di morte (Cina) e la censura (Turchia), rinnegando malinconicamente qualsiasi ambizione diplomatica.

Forse gli analisti che oggi invadono i media dovevano intuire prima quali sarebbero potute essere le conseguenze dell’aggressione russa alla Crimea, e gli organismi internazionali sarebbero dovuti intervenire preventivamente per evitare che il conflitto si allargasse; e forse l’Europa, la più prossima non solo geograficamente alla zona interessata dai combattimenti, avrebbe dovuto valutare e gestire nel tempo con maggiore lungimiranza, prudenza e accortezza le perentorie richieste di adesione all’Unione Europea e alla Nato da parte dell’Ucraina, evitando l’immediata rottura dei già fragili equilibri; invece di sforzarci di coniare e tutelare nuove presunte minoranze, avremmo forse dovuto occuparci della spinta separatista di quella filorussa in alcune regioni dell’Ucraina, favorendo soluzioni attuabili che avrebbero potuto evitarne la deflagrazione in una sanguinosa guerra civile, fornendo un assist a porta vuota a Putin; forse avremmo dovuto sapere che le guerre sono tutte uguali, che non esistono guerre buone e guerre cattive, che la guerra lascia solo morti, torture, fosse comuni e macerie, e fa emergere la natura più violenta dell’uomo sempre e ovunque, in nome di falsi pretesti e/o di deliranti ideologie, o più semplicemente per ragioni geopolitiche, ovvero puramente economiche; forse avremmo dovuto calibrare meglio le ingerenze degli USA evitandone personali speculazioni politiche e di convenienza, per non favorire una nuova divisione del mondo in due blocchi di cui proprio non si avvertiva il bisogno; forse avremmo dovuto difendere i valori su cui si fondano le radici dell’Europa occidentale, invece di declassarli ad ingombranti zavorre culturali; e forse dovremmo ascoltare di più quella parte di opinione pubblica, intellettuali e addetti ai lavori, che non è certo filo-putiniana né vuole abbandonare gli ucraini al proprio destino, ma che pensa che dopo un anno di macerie, morti e distruzione sia giunto il momento che l’Occidente (non sia mai l’ONU…) si prenda la responsabilità di individuare compromessi realistici e realizzabili per poter immaginare una tregua a breve termine; la pace, quella vera, in quei territori martoriati sarà possibile soltanto quando almeno due generazioni si saranno dimenticate della guerra.

Ad un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, è giunta l’ora che l’Europa si occupi della transizione bellica, prima di quella ecologica o di genere…