Viktor Orbán ha annunciato che l'Ungheria abbandonerà la Corte Penale Internazionale (CPI), definita uno "strumento politico". La decisione, resa pubblica oggi durante la visita ufficiale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – oggetto di un mandato di arresto della CPI per i crimini di guerra compiuti a Gaza – segna un nuovo capitolo nell'alleanza tra i due leader nazifascisti e conferma quanto di questi tempi sia ormai impossibile pretendere il rispetto del diritto internazionale umanitario.
Accanto a Netanyahu, accolto a Budapest con una cerimonia militare che ha visto sfilare la cavalleria con spade e baionette, Orbán ha criticato senza mezzi termini la CPI: "Un tempo istituzione cruciale, ora ridotta a un forum politico". Netanyahu, che ha definito la mossa "audace e di principio", ha ringraziato l'Ungheria per l'appoggio, sostenendo che "opporsi a questa organizzazione corrotta è vitale per tutte le democrazie".
Dichiarazioni aberranti, ma perfettamente in linea considerando da chi sono state pronunciate.
Il ritiro ungherese, che richiederà l'approvazione del parlamento a maggioranza Fidesz e una notifica formale all'ONU, diventerebbe effettivo dopo un anno. Gideon Saar, ministro degli Esteri israeliano, ha elogiato Budapest, bollando la CPI come "priva di autorità morale". Al contrario, il ministro olandese Caspar Veldkamp ha ricordato all'Ungheria i suoi obblighi finché rimane membro. L'organo di governo della CPI ha espresso "preoccupazione", sottolineando che l'abbandono "indebolisce la ricerca di giustizia".
Nonostante lo Statuto di Roma – trattato fondativo della CPI ratificato dall'Ungheria nel 2001 – Budapest sostiene di non aver mai recepito le norme nella legislazione nazionale, rendendo inapplicabili i mandati. Tuttavia, esperti legali ribadiscono che gli obblighi internazionali permangono. Liz Evenson di Human Rights Watch ha condannato l'annuncio del premier ungherese: "Dimostra quanto Orbán sia disposto a minare diritti umani e stato di diritto, anche in patria".
L'incontro tra Orbán e Netanyahu rafforza un sodalizio basato su visioni sovraniste e conservatrici. Entrambi si presentano come difensori della "civiltà giudaico-cristiana", contrapposta a istituzioni globali percepite come ostili. L'Ungheria, da anni, blocca dichiarazioni critiche dell'UE verso Israele, mentre Netanyahu cerca di mostrare, nonostante il genocidio in atto a Gaza e gli scandali interni, di non essere isolato a livello internazionale.
L'UE appare divisa sull'applicazione dei mandati della CPI: Spagna, Paesi Bassi e Finlandia hanno dichiarato di rispettarli, mentre Germania e Polonia cercano vie per evitare l'arresto di Netanyahu. La Francia invoca l'immunità per il leader israeliano, perché non membro della CPI.
La scelta ungherese rischia di aprire un pericoloso precedente, incoraggiando altri governi nazionalisti a sfidare meccanismi multilaterali. Per Orbán, è un'ennesima provocazione all'UE, mentre per Netanyahu è una vetrina per legittimarsi. Infine, per la giustizia internazionale, è un colpo che solleva dubbi sulla capacità di poter perseguire criminali di guerra in un mondo sempre più frammentato.
Il nazifascista Orbán ha pieno diritto di accogliere un suo pari come Netanyahu, di stringergli la mano e di abbracciarlo, invece di arrestarlo e spedirlo alla Corte Penale Internazionale. Quello che invece non è chiaro è perché l'Europa debba avere tra i suoi membri una nazione il cui governo sistematicamente disconosce i principi su cui l'Unione è stata fondata.
Per la cronaca, la Presidenza dell'Assemblea degli Stati Parti dello Statuto di Roma ha espresso preoccupazione in risposta all'annuncio del Governo ungherese per ritirarsi dallo Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Corte penale internazionale:
"La Presidenza si rammarica di questa decisione. Quando uno Stato Parte si ritira dallo Statuto di Roma, ciò offusca la nostra ricerca condivisa di giustizia e indebolisce la nostra determinazione a combattere l'impunità. La CPI è al centro dell'impegno globale delle responsabilità e, per mantenere la sua forza, è imperativo che la comunità internazionale la sostenga senza riserve. La giustizia richiede la nostra unità.La Presidenza esorta l'Ungheria a continuare a essere una parte risoluta dello Statuto di Roma. Ogni Stato Parte ha il diritto di esprimere le proprie preoccupazioni dinanzi all'Assemblea e la Presidenza incoraggia fortemente l'Ungheria ad avere una discussione significativa su questo tema.La Presidenza ricorda che uno Stato Parte non può essere esonerato, a causa del suo recesso, dagli obblighi derivanti dallo Statuto di Roma mentre era Parte dello Statuto.La Presidenza ricorda che l'Ungheria ha partecipato attivamente all'Assemblea degli Stati Parti dello Statuto di Roma sin da quando ne è diventata Stato Parte nel 2001 e, ancora nel dicembre 2024, nella risoluzione ICC-ASP/23/Res.1, ha riconfermato, insieme ad altri Stati Parti, il suo incrollabile sostegno alla Corte come istituzione giudiziaria indipendente e imparziale.
L'Assemblea degli Stati Parte è l'organo di controllo gestionale e legislativo della CPI. È composta da rappresentanti degli Stati che hanno ratificato e aderito allo Statuto di Roma. La Presidenza dell'Assemblea è attualmente composta dal Presidente S.E. la Sig.ra Päivi Kaukoranta (Finlandia) e dai Vice-Presidenti S.E. la Sig.ra Margareta Kassangana (Polonia) e S.E. il Sig. Michael Kanu (Sierra Leone)".