Ho pensato in questi giorni ad un romanzo letto alcuni anni fa, a partire dal suo titolo italiano, “Riparare i viventi”, scritto da un’autrice francese, Maylis de Kerangal.

Il libro, a partire da un incidente stradale che va a causare il coma irreversibile di un ragazzo, racconta quelle ore decisive in cui l’eventuale scelta di donare il cuore dello sfortunato ragazzo potrebbe dare speranza ad una persona in attesa di trapianto.

E` in questo spazio che si muovono i personaggi centrali, a partire dallo strazio dei genitori che non possono accettare la perdita del loro ragazzo, fino a medici e infermieri che devono riportarli su un piano di realtà provando a convincerli ad autorizzare l’espianto del cuore.

E` evidente come il primo moto di reazione non possa essere che una sorta di rifiuto dell’accaduto, una non accettazione che lascia lo spazio alla chiusura nella propria intima disperazione. E però negli stessi momenti, nonostante il desiderio di rinchiudersi nel proprio dolore, è necessario considerare quella possibilità. Piuttosto che innalzare un muro di dolore e rinchiudersi in una bolla di sofferenza, si può costruire un ponte di umanità e fare in modo che la propria tragica perdita possa essere un germoglio di speranza e fonte di salvezza per qualcun altro.

In questi tempi cupi, dove alla morte e alla sofferenza provocata dalla pandemia si aggiunge tutto il male della guerra, dell’uomo contro se stesso, è davvero vitale riportarsi a quella umanità che si occupa appunto di  “riparare i viventi”.

Nel romanzo tale verbo è inteso nel senso proprio di far fronte, sistemare un danno organico fornendo nel caso specifico un cuore efficiente. Cosa che già di per sé presuppone una intenzione e una pratica della cura. Partendo da questo, però, mi piace pensare ad un senso del riparare più ampio: un riparare inteso come fornire un riparo, dare accoglienza, conforto, assistere, alleviare una pena.

E, certo, include anche, laddove necessario e possibile, una vera e propria riparazione, in senso tecnico, che sia il trapianto di cuore, come nel romanzo, o altro. Riconoscerci in definitiva in quanto esseri umani, come fratelli e sorelle di un’unica grande famiglia e così restituirci rispetto, attenzione e cura l’uno per l’altro e agire per fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per sottrarre tutto il male possibile.