Abbiamo creato noi le condizioni, e possiamo cambiarle come ci pare. Quando lo facciamo?
Le tre vignette che osservate in figura sono una delle tanti rielaborazioni dell'idea originale e “accidentale” di Craig Froehle (su Medium: @CRA1G). Questa versione la feci io qualche anno fa, per illustrare l'esordio di temi sull'equità sociale dove rappresentavo le tre classiche condizioni di transizione verso l'equità. E oggi ve ne vorrei parlare in chiave estremamente sintetica e assertiva: dalla metafora alla disarmante mindset (disposizione mentale) necessaria per attivare la volontà al cambiamento. Perché non servirebbe altro, se non la semplice attivazione della volontà.
Partiamo dalla prima vignetta, quella dello “squilibrio sociale”.
Come vedete ci sono tre casse e tre persone di diversa statura che le possiedono e le usano per potersi godere la partita oltre lo steccato. La persona più bassa non possiede in realtà nessuna cassa. Addirittura si trova dentro un fosso. Senz'altro è quella più sfigata che non vedrà nulla della partita.
Non se la passa molto meglio la persona di statura media. Possiede una cassa, la sta usando anche bene, ma il tizio accanto di tanto in tanto gli pesta una mano. La persona in alto ama stare comoda senza condizioni, e non si cura che poggiando il piede sulla staccionata finirà per spezzare le falangi del suo vicino.
Anche quest'ultimo tizio alto, che possiede due casse e ci sta sopra svettando sugli altri, non è che alla fine se la passi benissimo. Al di là della comodità non sembra esultare granché. Probabilmente sarà turbato perché non comprende il fastidio che provoca al suo vicino o l'antipatia che ingenera in tutte quelle persone basse che stanno dentro ai fossi.
Queste condizioni di squilibrio le possiamo osservare in tutti gli ambiti della nostra società - nessuno escluso - e sono condizioni che abbiamo creato noi.
Siccome è opera nostra, non dobbiamo assolutamente censurare questa realtà. Tantomeno dobbiamo invidiare chi possiede le due casse e magari pretendere che se ne privi, perché le ha ottenute osservando le regole che noi abbiamo creato. E quando abbiamo creato tali regole probabilmente non abbiamo previsto che chi avesse una certa statura non poteva fin dal principio ottenere le poche casse disponibili, perché altrimenti le avrebbe (legittimamente) tolte a qualcun altro.
Non ci abbiamo pensato. Tutto qui.
Ora ci stiamo pensando. Ma dove ci porterà il nostro ragionamento? Cioè quel dibattito fervente e ancora inconcludente che impegnerebbe i nostri politici per portarci alla seconda vignetta, ossia quella dell'“uguaglianza”.
In questa ipotesi si dovrebbero creare le condizioni per fare in modo che una delle future casse destinate ai tizi più in alto vada a finire a quelli più in basso, ai quali bisogna anche colmare il fosso su cui stanno, altrimenti la cassa sprofonderebbe. Poi saranno tutti più contenti?
Dipende. Se il tizio dalla somma statura sarà contento di potersi avvicinare a quello di media statura, che a sua volta sarà contento di non dover subire più il fastidio del piede sulla staccionata, allora così contenti e più vicini tra loro potrebbero anche iniziare a esultare insieme per la partita. Tuttavia, al tizio in alto potrebbe non garbare di stare leggermente più in basso, e a quello che sta al centro potrebbe non garbare questo passaggio di cassa senza poter godere di una sua parte.
In mezzo a questo dubbio amletico osserviamo comunque quanto sia imperfetta questa “uguaglianza”. Al tizio più basso non è cambiata granché la vita: sopra la cassa adesso vedrà la partita da quel buco fortuito che c'era nella staccionata, ma di guardarla alla pari degli altri non se ne parla proprio. Quindi, tutto sommato, il gioco potrebbe non valere la candela. Sforzarsi per creare queste condizioni lascia un po' tutti scontenti. E ne vediamo un esempio col famoso Reddito di Cittadinanza: una “prova tecnica” di uguaglianza.
Ma ci dovremmo preoccupare per questo? Certo che no. Va benissimo anche così, in termini di pseudo-uguaglianza. Perché come andava bene quando lo “squilibrio sociale” era quello più marcato e visto prima, ci si lamentava ugualmente. Cambiamo semplicemente i soggetti che si lamentano.
Giungiamo, infine, all'ultima ipotesi che è la vignetta dell'"equità".
L'impatto della vignetta parrebbe forte. Sembra che abbiamo tolto tutto allo spilungone per passarlo a quello più basso, e senza dare nulla a quello al centro. Tuttavia il tizio nel mezzo è anche quello che non avrebbe alcun motivo per lamentarsi, perché a lui non cambia praticamente nulla, ma potrebbe anzi godere (se gli aggrada) del valore morale concesso da maggior compagnia e minori fastidi.
Anche allo spilungone non cambierebbe la vita, perché già la natura lo ha dotato di gambe più lunghe da poter fare a meno di “aiutini” per guardare la partita al pari di chiunque altro. E questi “aiutini” andrebbero nella direzione giusta, ossia di chi non ha avuto le stesse dotazioni naturali. C'è qualcosa di sbagliato in questo?
Sicuramente qualcuno avrà da ridire. Ma nelle condizioni odierne c'è molta (ma molta) più gente che ha da ridire. Quindi, se volessimo metterla ai numeri non ci sarebbe storia. Ma non importa, perché è proprio irrilevante che qualcuno abbia da ridire.
Le condizioni le creiamo noi. Andavano bene quelle medievali, con vassalli, valvassori, valvassini e servi della gleba, ed erano quei tempi; vanno bene quelli di oggi, che permettono a pochi di arricchirsi senza limite e a decine di milioni di versare in eterogenee sacche di povertà, e sono i nostri tempi; andranno bene quelle di domani, se si deciderà che non ci si può più arricchire illimitatamente e che non possono esistere persone ostacolate nel guardare la partita della vita, e saranno i nuovi tempi!
Quindi è questa la domanda da porsi: quando lo facciamo? Quando creiamo le condizioni per l'Equità della terza vignetta?
Ah! E non facciamoci ingannare.
Quell'Equità non si ottiene togliendo la proprietà, i profitti, i risparmi, i beni di qualunque tipo. Perché semplicemente non si può togliere ciò che si è finora goduto e consumato alle condizioni esistenti. Il punto di vista, se vogliamo continuare a usare il transitivo “togliere”, è che si può benissimo togliere la possibilità di continuare a godere e consumare nella stessa maniera e con lo stesso tenore iniquo (iniquo verso il resto dell'umanità).
Perché non c'è nessuna ragione, eredità, o condizione suprema, che obblighi l'umanità a rimanere alle condizioni attuali.
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