THREE MILE ISLAND
28 marzo 1979 – ore 4.00 del mattino.
La nostra Costituzione “ripudia” la guerra ma per aver firmato il Patto Atlantico che ci lega passivamente agli interessi degli Stati Uniti nell’area europea sia occidentale che orientale (e anche oltre) siamo finiti cobelligeranti nello scontro tra Ucraina e Russia. Siamo stati obbligati dalla NATO a fornire armi e praticare sanzioni nei confronti di una potenza nucleare con la quale avevamo stretto rapporti commerciali vantaggiosi per entrambe le parti, in particolare una fornitura di gas che ci avrebbe permesso una transizione ecologica graduale e poco traumatica per un sistema economico industriale avanzato come il nostro ma con scarse risorse energetiche e limitate quantità di materie prime. Oggi per le sanzioni contro la Russia ci ritroviamo alle prese con una crisi energetica che sta mandando in fallimento lo Stato italiano.
Di fronte alla chiusura ormai a data da destinarsi delle forniture di gas russo in Italia rispunta la balla delle centrali nucleari come fonte di energia pulita e sicura anche se ai due referendum sul nucleare gli italiani hanno detto no alla costruzione di centrali. Da prima della pandemia la Germania aveva programmato la chiusura graduale dei suoi impianti nucleari; attualmente la Francia ha spento parecchi reattori perché ormai obsoleti per questo bisognosi di manutenzioni costosissime e potenzialmente pericolosi che sono stati alimentati per decenni dal plutonio e uranio arricchito prodotti in Italia e ceduti alla Francia ottenendo come contropartita energia elettrica pagata a caro prezzo e un mare di scorie nucleari pericolosissime da smaltire.
Sono ormai passati più di quarant’anni dalla tragedia sfiorata nella centrale nucleare di Three Mile Island nello Stato della Pennsylvania USA; non si è mai parlato seriamente di quello che è accaduto a Chernobyl; si è parlato del disastro di Fukushima nei primi giorni e poi è sceso il silenzio e si omette sistematicamente di informare l’opinione pubblica mondiale sulle conseguenze per l’oceano nel quale regolarmente l’acqua di raffreddamento radioattiva viene versata.
Nessuno dei promotori del nucleare – il “grillino” Cingolani compreso - parla della decisione presa dalla Casa Bianca in pieno accordo con la Commissione Regolatrice per l’uso pacifico dell’Energia Nucleare di bloccare la costruzione di altre 51 centrali nucleari sul suolo americano sin dai primi anni ‘80 perché ritenute ad altissimo rischio e costosissime. Come mai fu presa questa drastica decisione tutt’ora in vigore? Dapprima dobbiamo parlare dell’incidente di Three Mile Island per comprendere i motivi che hanno spinto gli americani ad abbandonare l’uso “pacifico” dell’energia nucleare. La gente comune deve essere correttamente informata sui rischi di incidenti che non sono prevedibili e dipendono da difetti di fabbricazione o malfunzionamento di un componente del sistema di sicurezza o di alimentazione: ciò che è umano è soggetto al difetto in buona o mala fede e soprattutto viene condizionato profondamente dal profitto.
L’ex Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter è conosciuto come un produttore di noccioline ma è anche un ingegnere nucleare con una notevole esperienza in materia maturata proprio nel campo dell’energia nucleare applicata al settore della marina militare (sottomarini a propulsione nucleare, interventi in caso di incidenti nucleari, utilizzo dell’energia nucleare pacifica) quindi una persona altamente competente che all’epoca- essendo il Presidente in carica - seguì personalmente il grave incidente di Middletown in Pensylvania, una catastrofe evitata per 30 minuti.
È con l’amministrazione Carter che il settore nucleare ebbe un incremento notevole, l’uso pacifico dell’energia nucleare rappresentava una svolta verso l’indipendenza dal petrolio estero, avrebbe portato nuovo slancio economico e molti posti di lavoro e ottimi salari: l’opinione pubblica fu influenzata da una campagna d’informazione concentrata esclusivamente sugli aspetti positivi omettendo di parlare di radioattività, di rischi per la salute pubblica, per l’ambiente e soprattutto di incidenti. La gente aveva accettato senza pregiudizi la presenza di una centrale nucleare perché era considerata uno degli impianti più sicuri al mondo nei quali era impossibile che potesse accadere un qualsivoglia malfunzionamento fino al 28 marzo 1979 alle ore 4.00 quando il reattore n. 2 entrato in funzione solo tre mesi prima fece scattare l’allarme generale trovando il personale della sala di controllo sorpreso e disorientato perché il sistema di sicurezza che doveva provvedere a disattivare automaticamente il reattore che presentava problematicità si era bloccato.
Per più di un’ora i tecnici non seppero che cosa fare: gli strumenti indicavano che il livello dell’acqua di raffreddamento era al massimo, alla fine il responsabile tecnico decideva di chiudere l’impianto di refrigerazione commettendo un gravissimo errore: il livello dell’acqua non deve mai scende al di sotto del nocciolo. Dopo circa due ore il supervisore si accorge che una valvola di sfiato si era aperta automaticamente lasciando fuoriuscire l’acqua. Dai controlli strumentali risultava che l’acqua nel reattore n. 2 non scorreva e stagnando nell’impianto si surriscaldava e si convertiva in vapore radioattivo.
Il vapore radioattivo è una miscela letale chiamata “cripton”, all’interno dell’edificio di contenimento aveva formato una bolla di idrogeno altamente radioattiva la cui pressione poteva fare esplodere l’edificio di contenimento provocando un’autentica catastrofe nucleare con milioni di morti per contaminazione radioattiva e la desertificazione di un’area vasta quanto lo Stato per secoli.
La valvola veniva chiusa manualmente ma nel frattempo il reattore si era surriscaldato, tale situazione poteva dar luogo alla fusione del nocciolo provocando una reazione nucleare autoalimentata: una situazione totalmente fuori controllo dalle conseguenze terrificanti definita “la sindrome cinese”.
Con la chiusura manuale della valvola sembrava che il peggio fosse passato ma alle 7.24 scattava di nuovo l’allarme. Da un controllo del livello delle radiazioni emergeva che dai tubi di alimentazione vi era una perdita di combustibile radioattivo.
A quel punto era improcrastinabile informare il Governatore della Pennsylvania della situazione e contattare la Metropolitan Edison - l’impresa produttrice del reattore - che interveniva tempestivamente e, mentendo spudoratamente, tranquillizzava gli interlocutori minimizzando la serietà dell’episodio, assicurando che era tutto sotto controllo e non vi era pericolo per la salute pubblica.
Alle 10,55 la segreteria del Governatore indiceva una conferenza stampa riferendo che la situazione era sotto controllo e che la popolazione poteva stare tranquilla che non vi era alcun pericolo in quanto si erano verificate irrilevanti fughe di radiazioni, nel frattempo la popolazione ignara aveva iniziato la giornata come se nulla fosse accaduto: i bambini avevano aspettato alla fermata il bus per andare a scuola; i negozi erano stati aperti e la gente circolava tranquillamente perché non era stata avvertita del reale pericolo.
Tre mesi prima era stato distribuito nelle sale cinematografiche americane il film “La sindrome cinese” che ricostruiva scenicamente l’incidente in corso, fino a quel momento i cittadini non avevano mai sentito parlare della fusione del nocciolo e delle sue catastrofiche conseguenze: se l’imprenditoria nucleare aveva affermato sin dall'inizio che un simile incidente non sarebbe mai potuto accadere la realtà stava dimostrando il contrario.
Alle 13.50 scattò un altro allarme preceduto da una esplosione soffocata nell’edificio di contenimento ma la strumentazione di controllo non rivelava alcuna anomalia quindi non c’era da preoccuparsi ma un’ora più tardi scattava l’allarme radioattività all'interno dell'edificio della centrale, nella sala di controllo vi era una contaminazione di boro radioattivo ormai era palese che dall’impianto vi erano fuoriuscite di radioattività nell’ambiente esterno. I portavoce della Metropolitan Edison mentivano quando affermavano che non vi era pericolo alcuno infatti ben sapevano dai controlli effettuati sul territorio degli alti livelli di radioattività rilevati fino a circa 30 Km dalla centrale. Erano passate solo 12 ore dal momento dell’incidente e la situazione si stava progressivamente aggravando .
Durante una riunione tra i vertici della centrale e i funzionari della MET. ED. veniva fuori la verità in un modo sconcertante: i responsabili della ditta costruttrice ammettevano che vi era stata una fuoriuscita di radiazioni e non lo avevano detto perché nessuno glielo aveva chiesto aggiungendo che l’incidente era un affare esclusivo della MET. ED. quindi i gestori dell’impianto dovevano starne fuori. Era stata occultata la verità, omesso e/o diffuso false informazioni.
Alle 16.30 veniva indetta una nuova conferenza stampa durante la quale - omettendo di dire che la situazione era fuori controllo – si informava dell’avvenuta fuga di radioattività nell’ambiente minimizzandone la pericolosità per gli abitanti del luogo e per l'ambiente per questo non era prevista un’evacuazione.
Alle ore 20.00 il personale interno alla centrale aveva dovuto indossare tute e maschere protettive per l’alto tasso di radioattività presente nei luoghi di lavoro.
Il problema primario e indifferibile era stabilizzare il reattore. Il problema era riattivare almeno una pompa di refrigerazione per far circolare l’acqua nel nocciolo e tentare di raffreddarlo per impedirne la fusione. L’avvio manuale della pompa poteva danneggiarla e allora la catastrofe sarebbe stata inevitabile ma non essendoci alternative girarono la chiave e fortunatamente l’acqua riprese a circolare e per il momento era stato interrotto il processo di surriscaldamento del nocciolo: questo era quanto supponevano i tecnici.
Nel frattempo il presidente e i funzionari della MET. ED. fornivano informazioni “tranquillizzanti”. Dal 1974 erano in funzione 72 reattori sparsi su tutto il territorio degli Stati Uniti e non si era verificato nessun incidente ma lo “strombazzato’’ eccellente livello di sicurezza fu smentito clamorosamente proprio dall’incidente di Three Mile Island.
29 marzo 1979 – secondo giorno dall’incidente, alle ore 8.30 viene effettuato il prelievo di un campione di acqua dall’impianto di refrigerazione per controllare il livello di boro elemento utilizzato per controllare la reazione all’interno del reattore - renderlo stabile (sotto controllo) - e spegnerlo. Tale controllo era importante per stabilire se ve ne fosse una quantità sufficiente ma il livello risultò basso: questa era una concausa della mancanza di controllo della reazione inoltre i livelli di radioattività nell'area operativa del reattore n. 2 erano critici, un milione di volte superiore al valore massimo consentito.
Nella gestione della crisi era intervenuta anche la Commissione regolatrice per l’energia nucleare - organo statale di controllo e regolamentazione per l’uso pacifico dell’energia nucleare. Sin dal secondo giorno dall’incidente la stampa si era resa conto che le conferenze erano tutta una messa in scena.
Alle ore 22.00 il portavoce del governatore ricevette una telefonata da parte di un membro della Commissione regolatrice che in via riservatissima lo informava correttamente della situazione: l’incidente era molto più grave di come gli era stato riferito; il nocciolo era parzialmente fuso e che vi sarebbero state conseguenza nei mesi e negli anni successivi al “momento non quantificabili”. Quindi non solo la Metropolitan Edison aveva mentito ma anche la Commissione era stata “poco affidabile”.
30 marzo 1979 - terzo giorno dall’incidente nonostante il progressivo aumento della radioattività esterna alla centrale le autorità non emanavano l’ordine di evacuazione della popolazione più esposta: era stata stabilita la soglia di 1200 millirem l’ora. Un elicottero sorvolò la torre del reattore n. 2 rilevando 1200 millirem l’ora, solo allora le autorità dettero l’ordine di evacuare quando sarebbe stato più opportuno farlo sin dal primo giorno.
Il reattore n. 2 della centrale di Three Mile Island determinò il destino dell’impiego dell’energia nucleare per uso pacifico in America: vi erano 52 progetti di centrali da realizzare che furono immediatamente bloccati e fu abbandonato il programma di sviluppo del nucleare per produrre energia elettrica, rimangono in funzione le centrali esistenti fino alla loro dismissione definitiva per usura.
La popolazione dovette abbandonare le case in fretta, incominciarono a prendere coscienza che erano stati presi in giro, incominciarono ad organizzarsi e a far pressioni sulle autorità per ottenere la verità sulle cause e le conseguenze dell’incidente, divennero degli attivisti competenti e appassionati per difendere il loro territorio. La cronaca non finisce qui, avrà dei risvolti molto significativi.