Il salario minimo non decolla. La premier dice: «Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge». Insomma, gli italiani non se la meritano una bella legge che al di sotto di un “tot” dica che è illegale lavorare, perché è sfruttamento, è brutto, non si fa! Gli italiani, invece, si meritano di fare profitti a dieci e più zeri, comprarsi le Alpi compresa eventualmente la premier stessa, anche grazie al salario minimo che altri non meritano per legge.

L’ho sempre detto che questa cosa del “merito” non funziona. Potrebbe… ma non funziona!

Allora mi piacerebbe non sentirne parlare più. Basta col merito, la meritocrazia, e affini, perché come vediamo riguarda terminologie prive di significato assoluto. Ancor più: sono prive di significato etico. E guai a chi non non distingue l’etica dall’utilità relativistica moderna.

Nella vita non conto le volte in cui ho ricevuto complimenti e smancerie varie, adulatori (per lo più falsi) e pure qualche riconoscimento ufficiale. Amenità tipiche, insomma. Era anche un’altra vita, e qualche volta lusingava. Per fortuna si cresce, lo facciamo tutti, e chi ha voglia prova l’ebbrezza della riflessione, dell’approfondimento, dei tanti significati della vita e poi di quelli etici che ne esaltano il senso reale. E per carità: non chiamatelo “percorso illuminante”. Magari! Me lo auguro possibilmente per il futuro; ma per il momento è solo la maturità di base che prova a rincorrere quella più elevata, con la consapevolezza del sordido limite di una sola vita.

Quindi non saprei cosa meritare oggi, e ancor meno quello che avrei meritato  ieri.

Se però conferiamo al termine “merito” il significato relativo al momento in cui tale merito si sarebbe prodotto, allora si capisce tutto. Dal Treccani il lemma parrebbe chiaro, nella prima parte dice: «merito [...] indica il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa (materiale, morale o anche soprannaturale), in relazione e in proporzione al bene compiuto». Ma poi prosegue tra parentesi: «[...] sempre sulla base di un principio etico universale che, mentre sostiene la libertà del volere, afferma la doverosità dell’agire morale [...]».La prima parte della definizione conforta la relatività del termine (a volerci stare larghi), ma quell’inciso tra parentesi obbliga a considerare il significato di “merito“ in senso assoluto, ossia attraverso la premessa inequivocabile che il merito concordi con l’etica universale. Non solo Il Treccani, disponibile gratuitamente online, ma ogni altro dizionario standard ed enciclopedico (ancor peggio) cercherà di condurre la definizione in quella direzione di sacralità etica.

Nella realtà odierna non è affatto così. Tutta la terminologia serve a definire la cultura relativistica del merito, quindi relativa a ciò che oggi la società intende, e peraltro di volta in volta, in relazione ai concetti di premialità e punizione che si ritengono adatti per conseguire gli obiettivi imposti dalla società medesima. Essendo così, l’etica non è requisito centrale per l’uso della terminologia ma solo un ingrediente, una possibilità da verificare di volta in volta alla pronuncia della suggestiva frase: «Te lo meriti!».

E te lo meriti anche eticamente? Per esempio quel discorso sul salario versus profitti.

Una verifica del tutto opzionale, che Dio ne scampi si provasse a compiere susciterebbe gli strali delle masse concordi, liquidando la critica come polemica, inopportunità, invidia, e ogn’altra misteriosa elucubrazione mentale negativa. Vivendo nell’epoca che forgia accoliti e discepoli, anche il “merito” diventa elemento di tifo, scatenando l’acriticismo dei seguaci delle due fazioni: favorevoli e contrari. I significati, e naturalmente l’etica, non sono requisiti necessari per costoro. Lo sono, eventualmente, i beneficiari del merito sulla base dell’elemento simpatia o antipatia. Popolarità, insomma.

Qualunquismo, pressappochismo, analfabetismo. Chiamatelo come volete.

A parte salari e profitti, proprio in questi giorni sono balzati alle cronache un paio degli infiniti esempi che costellano le colonne dei nostri “eccellenti” media. Premi e celebrazioni per un paio di insegnanti che nella loro carriera non si sarebbero mai assentati dal posto di lavoro. E a ruota si sono ancorate citazioni ad alunni esemplari che - pure loro - non si sarebbero mai assentati dai banchi di scuola; ma pare che la novella del ”lodevole stacanovista” sia stata appena riscoperta e probabilmente diverrà la nuova litania mediatica.

Restando in ambito scolastico, da queste celebrazioni si potrebbero comunque trarre interessanti spunti didattici. Per esempio si potrebbe esplorare la vita del  personaggio storico Aleksej Grigór’evič Stachánov, emblema del movimento sovietico omonimo dello “stacanovismo”, dacché rilevarne i risvolti etici (didatticamente, per carità!). Un altro esercizio didattico potrebbe riguardare l’analisi critica della frase di un altro famoso e onoratissimo impiegato pubblico, il giudice Paolo Borsellino: «A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l'esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato». O la frase che potrebbe dire un percettore di RdC (specie in via d’estinzione): «A fine mese, quando ricevo il RdC, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se è mia la colpa di non trovare lavori dignitosi con un salario minimo». E trovare le differenze di tutti e tre.

Veramente ottimi spunti di dibattito scolastico. Non siete d'accordo?

Per il momento avanti tutta col merito (abbiamo anche un ministro dedicato): seguite tutti gli stereotipi della società, siate produttivi ai massimi livelli, evitate anche di ammalarvi (possibilmente), non criticate nessuno (tranne chi non comanda), e recitate ogni mattina dieci “Dio, patria e famiglia!” e dieci “Se voglio, posso!”, seguitando con una sana colazione a base di alimenti sovrani nostrani. Vedrete che il merito busserà presto anche alla vostra porta; ma quel merito al netto dell’etica che è solo l’estremo utile del sacrificio e dell’abnegazione. E se così piace, allora buon sacrificio a tutti.


📸 base foto: Qimono (trofeo), Activedia (sfondo), da Pixabay