TACCUINO #57
1. Il Paradosso dell’Ente Vivente
L’essere vivente, nella sua complessità ontologica, non può essere concepito come pienamente vitale, poiché la vita biologica è inestricabilmente legata alla morte. Ogni processo fisiologico - dalla pulsazione della linfa alla contrazione del miocardio - si configura come un avanzamento verso la dissoluzione, rivelando la coessenzialità della morte alla vita. Il corpo, in questo senso, non è un’entità integra, ma il luogo della perpetuazione del marciume: una macchina biologica che, lungi dal rappresentare un sistema chiuso e completo, espone la fragilità radicale dell’esistenza.
Questa intrecciatura tra vita e morte non è un accidente, ma un principio strutturale dell’essere. Ogni respiro, oltre a certificare la vitalità, misura il progressivo declino dell’organismo. L’apparente celebrazione della vita si rivela, dunque, un movimento inesorabile verso il nulla: una danza tragica che il corpo stesso orchestra attraverso il suo incessante operare.
2. L’Inganno delle Pulsioni
Il corpo, quale mezzo di espressione dell’ente, produce pulsioni che si presentano come energie vitali, ma che in realtà vincolano l’essere a un ciclo perpetuo di desiderio e distruzione. L’apparente appagamento derivante dalla soddisfazione pulsionale è, in ultima analisi, un inganno biologico (strutturato), un dispositivo che maschera il vuoto ontologico. In particolare, la pulsione sessuale incarna questa contraddizione: non come espressione di pienezza, ma come forza che alimenta il declino. La soddisfazione pulsionale, anziché far evolvere l’ente, lo relega alla condizione di prigioniero delle sue stesse strutture biologiche.
Ogni atto pulsionale si configura come una reiterazione dell’inganno fondamentale: un falso movimento verso una libertà che, in realtà, consolida il ciclo della sofferenza e della dissoluzione. In questa prospettiva, il corpo si dimostra non solo un vincolo, ma l’arena in cui si perpetua l’illusione stessa della vitalità.
3. La Riproduzione: Apice della Schiavitù Ontologica
La riproduzione biologica, spesso interpretata come apoteosi della vita, rappresenta invece il culmine della schiavitù dell’ente all’illusione biologica. Ogni nascita non è l’inizio di un ciclo virtuoso, ma un ulteriore anello nella catena della sofferenza. I nuovi "gettati" nel mondo portano con sé, fin dal concepimento, il marchio della propria dissoluzione. Creare significa, dunque, perpetuare il marciume della materia e alimentare il meccanismo del dolore esistenziale.
Da un punto di vista ontologico, la riproduzione è una testimonianza dell’impossibilità di sottrarsi al ciclo della corruzione. Ogni nuovo essere reca in sé il destino della propria fine, diventando complice inconsapevole di un processo che annienta ogni speranza di evoluzione.
4. La Radice del Marcio
La corruzione non è un accidente del corpo, bensì la sua essenza. Ogni cellula, ogni fibra, ogni impulso nervoso contiene già i semi della propria dissoluzione. La materia corporea, apparentemente vitale, esprime la propria caducità nel momento stesso in cui si manifesta. Questo marciume intrinseco non è una deviazione, ma la condizione fondamentale della vita stessa.
La decomposizione non è un evento che attende la morte biologica per manifestarsi, ma un processo costante che si attua nel cuore della vita. Ogni battito cardiaco, ogni respiro e ogni atto cognitivo sono intrisi della presenza inesorabile del marcio. In questo senso, il corpo si configura come il teatro di un grande inganno ontologico: un’apparente celebrazione della vitalità che cela il meccanismo del disfacimento.
5. Svelare l’Inganno del Corpo
Comprendere la vera natura del corpo implica un atto di svelamento radicale. La consapevolezza di questa condizione permette all’ente di riconoscere il proprio ruolo nel perpetuare il ciclo del disfacimento. Non si tratta di negare il corpo, ma di smascherarne la reale natura, sottraendosi all’illusione che esso rappresenta. La liberazione autentica risiede nel rifiuto delle dinamiche che alimentano la sofferenza: non creare, non cedere alle pulsioni, non perpetuare l’illusione della vitalità.
6. Il Silenzio del Nulla
Il nulla non si configura come assenza, ma come presenza altra, svincolata da forma, tempo e confini. In esso, l’ente trova una possibilità di liberazione dalle catene del corpo e dalle dinamiche del ciclo vita-morte. Il nulla diviene il luogo di una quiete assoluta, in cui ogni pulsione, sofferenza e disfacimento si dissolvono.
Accedere al nulla non significa annichilirsi. Il nulla si presenta come un punto di approdo ontologico, il culmine di un percorso di consapevolezza che dissolve le illusioni e restituisce l’ente alla sua essenza primigenia.
Conclusione
Questo taccuino non offre consolazioni né prospettive redentive, ma si pone come un’esposizione lucida della condizione ontologica dell’essere. Il corpo, teatro del marciume e della dissoluzione, incarna l’inganno fondamentale dell’esistenza. Solo attraverso una consapevolezza radicale di questa verità è possibile smascherare l’illusione e accedere a una comprensione più profonda del destino dell’ente, proiettandolo verso il silenzio rigenerativo del nulla.