La legislazione italiana prevede che l’INPS eroghi ai lavoratori che sono in cassa integrazione una prestazione economica integrativa o sostitutiva della retribuzione.

In parole povere lo Stato, attraverso l’INPS, provvede al sostentamento di quei lavoratori che si trovino nella temporanea condizione di disoccupati per effetto di ristrutturazione, crisi o sospensione delle attività alle quali prestavano la loro opera.

Si tratta di un ammortizzatore sociale il cui costo grava in misura rilevante sulle casse INPS.

Per avere una idea dell’intervento pubblico ricorrerò ai dati relativi al mese di luglio 2018 pubblicati dall’Istituto.

Nel solo mese di luglio l’INPS è intervenuto per erogare il sostegno economico per un monte di 14.483.577 di ore di cassa integrazione (NdR: comprensive di CIG ordinaria e straordinaria).

Ora, ipotizzando un orario di lavoro giornaliero di 8 ore, ne deriverebbe che sull’istituto sono gravate 1.810.447 giornate lavorative “non lavorate”.

Non ci sarebbe nulla da eccepire se, per esperienza, non fossi indotto a ritenere che molti cassintegrati operosi, incapaci di starsene con le mani in mano, si diano da fare per cercare e trovare un qualche lavoro, rimunerato rigorosamente in nero, avvalendosi del fatto che non hanno alcun obbligo né sono soggetti a controlli da parte dell’Istituto erogante.

Con ciò non intendo sicuramente affermare che siano solo loro, i "cassintegrati produttivi", a dar vita a quella economia sommersa di oltre 190 miliardi  che, secondo Il Sole 24 Ore, varrebbe il 12% del PIL.

Ma, non avendo elementi per dubitare dei dati pubblicati dal più importante quotidiano economico, mi sembra lecito credere che parte di quei miliardi che compongono la economia sommersa sia composta dal lavoro nero che né i datori di lavoro né i lavoratori ammetterebbero mai.

Ed è proprio partendo da questa considerazione che il “reddito di cittadinanza”, a mio avviso, rischia di palesarsi una misura sconclusionata ed assurda che, oltre a provocare l’ennesimo scialacquio di denaro pubblico, offra l’occasione per nuove forme di furbate all’italiana, senza neppure creare nuova occupazione.

Mi spiegherò meglio.

Il “presunto disoccupato”, al quale Di Maio intende offrire il  “reddito di cittadinanza”, potrebbe lavorare in nero e non disporre ufficialmente, quindi, di un reddito.

Nulla vieterebbe, perciò, a quel soggetto, di richiedere l’accesso al “reddito di cittadinanza” e di esibire allo scopo anche il certificato ISEE che lo attesti.

È più che probabile che la sua domanda sia accolta e che il “presunto disoccupato” inizi a percepire il sussidio previsto di € 780,00 mentre nulla e nessuno gli impedirebbero di seguitare a lavorare in nero.

Mi si obietterà: ma la normativa prevede che il percettore del “reddito di cittadinanza” debba impegnarsi un giorno alla settimana in attività socialmente utili.

E con ciò? Sempre che il sistema riesca ad organizzare giornate di attività sociali utili per tutti gli interessati, il “presunto disoccupato” non avrà difficoltà ad ottenere dal suo datore di lavoro, connivente, un giorno di pausa.

Mi si dirà: ma la norma prevede anche che se il percettore del sussidio non accettasse una delle tre proposte di lavoro che gli proponesse il Centro per l’Impiego perderebbe il diritto al “reddito di cittadinanza”.

È vero, ma dato e non concesso che i Centri per l’Impiego siano così efficaci e prolifici da poter proporre ad ogni assistito tre offerte di lavoro, sarà sempre e solo l’assistito a valutare la convenienza o meno ad accettare uno dei lavori propostigli.

Insomma, una misura economica messa insieme alla bell’e meglio tanto per fare un po’ d’ammuina in campagna elettorale.

Per questo ho il dubbio che la enfatica promessa dei grandiosi benefici che sprizzerebbero dal “reddito di cittadinanza”, potrebbe risultare un boomerang per il M5S, provocare la frustrazione degli elettori pentastellati, ma soprattutto produrre un nuovo infausto sperpero di denaro pubblico.