Questa società insegna la libertà di mascherarsi, di non essere liberi, di accettare l’accettabile ma di odiare l’orrido; ci insegna la falsa libertà.

Siamo il frutto dell’unione tra il dogma stoico e quello borghese: reprimere o mostrare il mostrabile, restare indifferenti o fingere di interessarsi, digerire o indignarsi. Senza metro, elaborazione soggettiva, empatia, senza sentimento simpatetico verso il prossimo. Si digerisce l’abitudine di una certa tipologia di stranezza, finché la stranezza non diventa normalità. Ma tutte le altre stranezze, restano tali, e chi prima era quello strano, adesso diventa (per molti) quello normale, o almeno quello “più normale di”. Una volta diventato tale, proprio colui che prima era discriminato, si trasforma in dittatore morale. Si unisce al branco.

Se pensiamo davvero di essere immersi in un reale processo di accettazione della diversità, ci sbagliamo. Le più grandi comunità anti-razziste, anti-omofobe, e via dicendo, peccano di ipocrisia quasi più di quelle fasciste. Finché si accetterà per abitudine e non per il principio morale della libertà di non essere il canone, finché esisterà un canone, non si darà mai una vera libertà in questo mondo. Finché il diverso verrà digerito e non accettato, finché la normalizzazione di una minoranza rappresenterà una rinnovazione del giusto rispetto allo sbagliato, e non l’impulso per una vera, ampia e radicale rivoluzione morale, resteremo sempre uguali. Gli stessi giudiziosi di sempre. Gli stessi che faranno finta di indignarsi se un adulto ha un rapporto sessuale consenziente con una diciottenne salvo poi guardare video pornografici pieni di ragazzine. Gli stessi che fingeranno di inorridire di fronte a certe perversioni, salvo poi desiderare di metterne in pratica altre, magari altrettanto se non più estreme.

Gli stessi che accetterebbero un figlio omosessuale ma proverebbero disgusto verso uno gerontofilo. Gli stessi che odiano il pedofilo non riuscendo a separarlo dalla figura del molestatore.

La nostra esistenza non è più la cristallizzazione di un dato schema classico, né la personificazione di un libro sacro, ma una violenza giornaliera fatta da noi a noi stessi mascherata da modernità; la continuazione di un processo di dominio mai conclusosi con la fine di una guerra; la nostra è l’epoca della continua rinnovazione dittatoriale della superiorità. Una superiorità che nasconde paura, e non paura del diverso, perché spesso quelli che consideriamo i disvalori di chi discriminiamo, sono anche i nostri. Ma paura di essere il diverso. E questa paura è così forte da tessere giornalmente il distacco e il ripudio verso quella stessa diversità dalla quale vogliamo fingere di prendere le distanze. 

Noi siamo il diverso, noi ascoltiamo il giudizio verso il diverso, noi abbiamo paura di essere visti come il diverso, noi ci agglomeriamo alla dittatura morale che giudica il diverso.

Rinunciare a se stessi per fingere di essere normali. Questa è la posta in gioco. E basta una parola, uno sguardo, basta l’indifferenza, per entrare nel branco.

Benvenuti tra i traditori che non tradiscono, tra i perversi che non fantasticano, tra coloro che distinguono etnia da difendere ed etnia da discriminare ma che sono, e sottolineamolo, anti-razzisti.

Quando verrà il giorno in cui saremo davvero liberi di parlare di noi stessi e non del lato del nostro essere considerato normale in quel dato periodo storico; quando questo falso processo di accettazione non verrà problematizzato anche nel suo lato più fintamente progressista; quando l’uomo di colore verrà accettato non soltanto se cresciuto in italia, quando il pedofilo (non molestatore) verrà ascoltato e non massacrato; quando smetteremo di essere dittatori di noi stessi e decideremo che, forse, esistere è più importante sia di nascondere che di mostrare, allora potremo definirci degli esseri umani. 

Fino ad allora saremo soltanto bestie da repressione.