Francesco Bonifazi, renziano doc e tesoriere del Partito Democratico dal 15 dicembre 2013, ha certificato nell'ultimo bilancio del partito, relativo al 2016, una perdita di svariati milioni di euro, tale da dover costringere alla cassa integrazione la quasi totalità di coloro che vi lavoravano.

Secondo le notizie riportate dai media e mai smentite dallo stesso Pd, il dissesto è dovuto alle spese dissennate imposte dal segretario Matteo Renzi per la campagna pro referendum costituzionale che si è svolto a dicembre 2016.

Da quando il presidente del Senato Pietro Grasso ha deciso di continuare la sua esperienza in politica con Liberi e Uguali abbandonando il gruppo Pd al Senato, automaticamente, il tesoriere del PD Bonifazi si è ricordato che Grasso doveva versare al gruppo Pd 1500 euro per le 56 mensilità della legislatura che si è appena conclusa, per un totale di oltre 80mila euro.

Bonifazi, poiché questa faccenda ha a che fare con il fatto che Grasso abbia abbandonato il Pd, ha iniziato a sbandierarla per mari e monti in modo che diventasse di dominio pubblico, per utilizzarla come propaganda elettorale con il titolo Grasso è moroso.

A questo punto, Grasso ha risposto alla richiesta di Bonifazi dalle pagine di Repubblica illustrando le sue ragioni nei seguenti punti:

A. Non ho mai ricevuto da voi alcuna comunicazione in merito alla quota economica mensile che avrei dovuto versare al Pd in ragione della mia elezione, né le modalità di pagamento. Eppure dal marzo del 2013 al giorno delle mie dimissioni dal gruppo del Pd in Senato sono trascorse 56 mensilità. Abbastanza occasioni per farlo, non crede?

B. Dal marzo 2013 avete approvato quattro bilanci del Pd, tutti a sua firma. Neanche in quelle occasioni ha ritenuto opportuno comunicarmi alcunché.

C. Non sembra opportuno che il presidente del Senato sostenga con soldi pubblici l’attività di un partito, così come per prassi centenaria non è chiamato a dare col voto alcun contributo politico. Ecco perché ero convinto che non aver ricevuto richieste di contributi dipendesse da una visione condivisa di questo modello. Sarò felice se vorrà spiegarmi la ragione per cui ha cambiato opinione.

D. Visto che il suo disappunto per la mia presunta morosità si è trasformato in sprezzanti dichiarazioni pubbliche, vorrei capire cosa ne pensa dei circa 250 mila euro che il Gruppo del Pd in Senato ha percepito dal marzo del 2013 al 26 ottobre del 2017 in ragione della mia iscrizione al Gruppo medesimo.

E. La mia dichiarazione dei redditi da lavoro dipendente (non da fumose consulenze) è pubblica da cinque anni, ma solo oggi diventa tema di attacco da parte sua.

F. La pensione da magistrato, di gran lunga inferiore al tetto dei 240 mila euro, dalla quale è stato prelevato per tre anni il dovuto contributo di solidarietà, previsto dalla legge, è frutto di 43 anni di lavoro svolto con impegno, senso delle istituzioni e spirito di sacrificio, condiviso con la mia famiglia. Non certo qualcosa di cui vergognarmi.

G. Inoltre, come lei sicuramente saprà, nel mio secondo giorno da presidente del Senato ho scelto di dare un segnale di sobrietà tagliando, fatte salve le indennità irrinunciabili, varie voci tra cui quelle previste come “rimborso spese per l’esercizio del mandato”, esattamente quella dalla quale i parlamentari prelevano la quota che versano nelle casse del Pd. Oltre ai tagli alle mie indennità ho dimezzato il costo complessivo lordo del gabinetto del presidente e del fondo consulenza, con un risparmio annuo di circa 750.000 euro. Al termine del mio mandato avrò dunque fatto risparmiare alle casse dello Stato più di quattro milioni di euro.

Dopo questa lettera pubblica è arrivata la controreplica di un altro renziano doc, il costituzionalista Stefano Ceccanti, tramite il sito Democratica, definendo stupefacente la risposta di Grasso, facendo riferimento a delle deduzioni che è possibile leggere direttamente a questa pagina.

Al di là di chi abbia torto o ragione, ognuno avrà sicuramente la propria opinione in merito, è però oggettivamente singolare e poco sostenibile da parte di Bonifazi che la sua richiesta "pubblica" a Grasso sia stata fatta solo dopo che lui ha reso noto di voler abbandonare il Pd.

Ma se il Pd aveva necessità anche dei soldi di Grasso per mettere qualche rattoppo al disastrato bilancio del partito, perché Bonifazi non glieli ha chiesti già ad inizio del 2017? Inoltre, perché Bonifazi, da così attento amministratore ha permesso a Matteo Renzi di sperperare le risorse finanziarie del Pd senza impedirgli di mandare a rotoli i conti del partito e, insieme a quelli, anche il lavoro di molte delle persone impiegate?

Perché Bonifazi non scrive allora una lettera pubblica a se stesso e a Matteo Renzi perché entrambi rimborsino i soldi sperperati per fare una dissennata campagna di propaganda per promuovere una dissennata riforma costituzionale?

I dipendenti del Pd, come già prima di loro i giornalisti de l'Unità, se dovessero esprimere un loro parere, c'è da scommettere che quest'ultima ipotesi, tra quelle di rimborso, sarebbe la più gettonata.