"Se da calciatore me la sono cavata alla grande, chiudendo quando dovevo, da allenatore non sono stato altrettanto fortunato.
La parabola della mia carriera semplicemente non si è conclusa: si è interrotta.
Il calcio continuavo ad amarlo, guardavo le partite, seguivo i calciatori, individuavo talenti, schemi, idee nuove. Mi tenevo aggiornato. La passione non va in pensione.
Ma non avevo modo di metterla in pratica.
Passava il tempo e non mi arrivavano offerte. Leggevo i giornali e vedevo allenatori decisamente meno bravi di me che venivano corteggiati da squadre importanti.
C’era un problema, come dire, antropologico, culturale, alla base della mia «espulsione» dal mondo del calcio.
Me ne sono accorto tardi, l’ho capito lentamente.
La verità è che, alla fine della mia storia, io la mia partita l’ho giocata e l’ho persa. E questa è una considerazione che mi addolora ogni volta che la faccio.
Che mi gonfia il cuore di delusione.
Ho sempre considerato il calcio un insieme di valori indiscutibili: l’educazione, la crescita della persona come individuo singolo e come parte di una squadra, la lealtà e la correttezza, l’autodisciplina, la capacità di riconoscere i propri limiti e la voglia e la fatica di provare a superarli, l’affannosa ricerca dell’equilibrio tra uomo e atleta. Mentre il mondo va in tutt’altra direzione, valorizzando l’apparenza, la chiacchiera, la forma. Lo spettacolo, appunto.
Oggi mi guardo intorno e ho l’impressione di non aver influito, di non aver cambiato niente, di aver remato controvento per quarant’anni. E basta.
Mi dicono che sono entrato nella Storia, che sono un monumento. Mi viene da ridere.
Come campione ho fallito la mia missione.
La Storia è un’altra cosa, e i monumenti, quando non fanno una brutta fine per motivi politici, di solito finiscono per essere poco più che arredo urbano, habitat per piccioni, o cose del genere.
La verità è che ho vinto qualche coppa, ho battuto molti record, ma non ho lasciato il segno, e il tempo si porterà via tutto, come una folata di vento in autunno spazza le foglie del parchetto sotto casa, dove adesso gioca a palla mio nipote."
[Dino Zoff]