"Cupio dissolvi" ha la sua origine in san Paolo, il quale nella 1ª lettera ai Filippesi scrive, secondo il testo della Vulgata, desiderium habens dissolvi et cum Christo esse (traduz. letterale del gr. τὴν ἐπιϑυμίαν ἔχων εἰς τὸ ἀναλῦσαι καὶ σὺν Χριστῷ εἶναι: dove dissolvi e ἀναλῦσαι esprimono il concetto dello scioglimento dell'anima dal corpo e quindi della morte).

La frase ritorna con frequenza nella patristica latina, come citazione diretta o come reminiscenza, anche con varianti formali, tra le quali predomina appunto quella stabilizzatasi nell'uso come cupio dissolvi ecc., che in questa forma risale con molta probabilità a versioni bibliche anteriori alla Vulgata (cfr. infatti Tertulliano, De patientia 9, 5: «Cupio dissolvi et esse cum Christo, dicit Apostolus»).

Col tempo, però, il senso originario di cupio dissolvi si è via via trasformato, per indicare in genere un desiderio di mistico annientamento in Cristo, e il motto è stato assunto a simbolo di aspirazione a una vita ascetica, di rinuncia alla propria personalità, e successivamente adattato anche ad accezioni e usi più laici e profani, esprimendo, a seconda dei casi, rifiuto dell'esistenza, desiderio di estenuazione, volontà masochistica di autodistruzione e simili.

Perché la dotta introduzione della Treccani per far conoscere il significato dell'espressione cupio dissolvi? Perché questo è il titolo utilizzato oggi da Beppe Grillo, di nuovo in edizione mistica (quella in alto è l'immagine che introduce le sue parole), per dirimere la diatriba interna al Movimento innescatasi tra Conte e Di Maio, a seguito delle assurde, ma meditate, dichiarazioni rilasciate da quest'ultimo dopo l'esito delle elezioni al Quirinale:

"Una volta un padre venerabile (Bapu Mahatma Ghandi) disse ai suoi “sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Così egli (l'Elevato) non volle essere un padre padrone, ma un padre che dà ai figli il dono più grande. Sicché rinunciò a sé per consentire il passaggio dall'impossibile al necessario.Non dissolvete il dono del padre nella vanità personale (figli miei).Il necessario è saper rinunciare a sé per il bene di tutti, che è anche poter parlare con la forza di una sola voce. Ma se non accettate ruoli e regole restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla".

L'appello spiritual-politico segue l'intervista di Giuseppe Conte rilasciata al Fatto Quotidiano in cui l'ex premier ha detto che «Di Maio dovrà rendere conto di diverse condotte, molto gravi. Ai nostri iscritti e alla nostra comunità».

Intervista a cui, in perfetto stile renziano (quella è l'area di riferimento a cui mira), Di Maio ha risposto, indirettamente, in questo modo:


Morale. Ma chi glielo ha fatto fare a Conte, una persona perbene e preparata, di credere di poter gestire una manica di saltimbanchi senz'arte né parte catapultati in politica per caso e che grazie alla politica hanno ottenuto una immeritata visibilità che fa loro presumere di essere chissà chi, quando a stento sanno appena allacciarsi le scarpe?

Deve essere forte la responsabilità verso una parte degli italiani che ritiene di poter rappresentare e a cui ritiene di poter essere utile se Conte continuerà a rimanere alla guida di un movimento di cui fanno parte gente come Grillo e Di Maio, perché non è misurabile la pazienza per sopportare gente simile. 

In fondo Conte un mestiere lo ha e pure ben pagato... ma chi glielo fa fare di mangiarsi il fegato per doversi destreggiare tra ex comici ed ex bibitari?