La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità dell’acquisizione di corrispondenza del sen. Renzi in violazione dell'art. 68, terzo comma, Cost. Con sentenza n.170 del 2023 (red. Franco Modugno), la Corte ha dichiarato che la Procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi, oggetto di provvedimenti di sequestro nell’ambito di un procedimento penale a carico dello stesso parlamentare e di terzi. Tali messaggi sono stati ritenuti riconducibili alla nozione di «corrispondenza», costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce, come invece sostenuto dalla Procura, con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori. Gli organi investigativi - ha precisato la Corte - sono abilitati a disporre il sequestro di "contenitori" di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere "occasionale" o "mirato" dell'acquisizione dei messaggi stessi. La Corte non ha invece accolto il ricorso nella parte in cui veniva contestata l’acquisizione da parte della Procura, senza autorizzazione, dell'estratto del conto corrente personale del Senatore Renzi, in quanto non era stato spedito dalla banca al parlamentare, ma allegato a segnalazioni di operazioni bancarie provenienti da uffici della Banca d’Italia.
La Corte costituzionale, quest'oggi, ha deciso in tali termini sul conflitto di attribuzione proposto dal Senato relativo a e-mail e whatsapp inviati dal senatore Renzi incidentalmente diventati oggetto di un sequestro, perché presenti nella corrispondenza elettronica di una persona a cui i pm di Firenze avevano requisito i dispositivi elettronici da lui utilizzati, nell'ambito dell'inchiehsta Open.
Così, il senatore di Rignano sull'Arno ha commentato la decisione della Consulta:
La Corte Costituzionale ha deciso sul conflitto di attribuzione tra Senato e Procura di Firenze sulla vicenda OPEN. Ricordate? Avevo fortemente voluto che la vicenda finisse in Corte, non per il processo ma per un punto di principio e di diritto. Io sostenevo che il comportamento dei PM di Firenze violasse la Legge (e la Cassazione ci ha dato ragione 5 volte) e che violasse anche la nostra Costituzione.La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso, dandoci ragione e annullato alcuni provvedimenti dei PM di Firenze. Verrà il giorno in cui la classe dirigente del Paese rifletterà serenamente su questa indagine assurda, nata contro di me, contro le persone che mi stanno vicine e soprattutto contro i fatti.Verrà quel giorno ma non è questo. Oggi è solo il giorno del trionfo del diritto. Le indagini dei PM Turco e Nastasi sono state bocciate per cinque volte dalla Corte di Cassazione e adesso anche dalla Corte Costituzionale.Dalla parte della legalità ci stiamo noi, non questi due PM. Grazie ai senatori che hanno votato in Aula per sollevare il conflitto sfidando l'opinione pubblica in nome del diritto.E un abbraccio sincero a chi in questi anni mi ha dimostrato il suo affetto e la sua vicinanza: vi voglio bene.
Da aggiungere anche che Renzi, quando chiede ai suoi accoliti di fare esercizio di memoria, dimentica che cosa abbia detto in passato. Quando era presidente del Consiglio, aveva dichiarato che lui non aveva problemi a far sapere quanto avesse sul conto corrente (al tempo qualcosa di più di 10mila euro) e che nel caso dei magistrati - se fosse stato parlamentare (al tempo non lo era) - avessero chiesto il permesso alla Camera di appartenenza di ottenere della sua documentazione personale, lui avrebbe concesso l'accesso senza alcuna difficoltà.
Come sempre, Renzi finisce per smentire quanto aveva dichiarato in precedenza.