Ora che i viaggi si sono drasticamente ridotti di numero, e le compagnie aeree hanno il problema della ruggine nei motori dei velivoli a terra, c’è una categoria che soffre e morde il freno: volontariato, ovvero ONLUS.
La beneficenza è un’attività di vecchia data: da quando le classi dominanti, che allora coincidevano spesso con l’aristocrazia, elargivano aiuti al popolo derelitto, soprattutto in occasione di disastri naturali o pestilenze reali.
Con un salto di secoli, perveniamo al secondo dopoguerra, quando regina incontrastata del settore era la Croce Rossa, quella italiana fondata nel diciannovesimo secolo a ruota di quella internazionale; sua alfiera in patria fu per lungo tempo Maria Pia Fanfani, seconda moglie del piccolo grande Amintore, boss democristiano, primo a giovarsi dell’immagine della elegante consorte che girava il mondo sugli aerei tatuati con la red cross.
Per non dimenticare, citiamo l’ultimo film girato da Alberto Sordi, “ Incontri proibiti” del 1998. Dimentichiamoci Valeria Marini e concentriamo l’attenzione sul personaggio interpretato da Franca Faldini (attrice a tempo perso e, per chi non lo sapesse, vedova di fatto di Totò): una generosa dama che lascia spesso solo il coniuge ingegnere, per soccorrere i poveri bambini africani, ma si accorge che vengono inviati medicinali scaduti.
Tanto ci richiama uno scandalo sollevato da “Striscia la notizia”, allorché un attore lombardo, di non chiara fama ma all’epoca abbastanza noto, fu accusato di aver fondato associazioni benefiche, allo scopo di dirottare buona parte dei fondi raccolti a proprio beneficio. Qualunque cosa si pensi di queste sortite sociali del noto programma, in effetti ne seguì un processo e la condanna per una parte dei reati addebitati.
Il secondo millennio ha visto una fioritura quasi selvaggia di operatori del settore, forse anche a seguito di uno show all’uopo creato, “Amore”, presentato da Raffaella Carrà, dedicato alle adozioni a distanza, poi ribattezzate “sostegni”. Raffa non sbaglia mai, ma chi vi si ispira a volte non è brillante e, talora, magari, neppure trasparente. Per anni imperversarono sorta di “Filini” degli uffici o nei caseggiati, quando non per parrocchie e bocciofile: molesti incalzatori intenzionati a far sentire in colpa chi non avesse accettato di privarsi del leggendario “ caffè al giorno”, magari con una raccolta collettiva, per aiutare il povero orfanello settimo di tredici figli in Bangladesh.
Le polemiche hanno raggiunto il parossismo quando qualche volontario, soprattutto se si trattava di giovani donne, è stata rapito e restituito all’Italia dopo il pagamento di un riscatto, vicenda occorsa anche nel corrente anno, con lo strascico di sconcerto per la presunta conversione dell’interessata, data per incinta di un rapitore esotico (c’è qualcosa di provato su tutto ciò?).
Poiché detestiamo gli schieramenti ideologici, ci limiteremo a trarre qualche conclusione dalla personale esperienza, perché, ebbene sì, e ne abbiamo parlato, cademmo nel vortice: ma oggi lo inquadriamo sotto altra luce, e sottolineiamo che rimane un parere strettamente personale.
Dopo attenta valutazione, ed escluse le major che, riteniamo, avranno già abbastanza sovvenzioni, sia private che pubbliche, ci si butta su una associazione “minore”. Naturalmente sono sfrondati i rami organizzativi, niente impiegati o mega uffici, gestione web ridotta al minimo. Si viene gentilmente invitati a tenersi in contatto con il proprio protetto, o più d’uno se si preferisce, mediante periodica corrispondenza, a scambiare fotografie, per far sentire la propria presenza, come accade nella eccelsa pellicola “A proposito di Schimdt”, protagonista Jack Nicholson, del 2002.
Se si può e si ha piacere, è possibile andare a trovare il beneficato nel suo paese, anche se l’impressione è stata che tale iniziativa non venisse particolarmente incoraggiata. Ma noi, ostinati, decidemmo di buttarci nel remoto staterello africano, non senza sacrifici economici.
Dal punto di vista antropologico rimane un’esperienza formidabile, consigliabilissima. Quanto al risultato, la musica cambia, sempre filtrando secondo la sensibilità di chi ci è passato.
Finanziare gli studi di un bambino che vive a migliaia di chilometri di distanza è un atto di fede che manco nella Trinità. Già è difficoltoso conoscere i reali risultati conseguiti da un figlio che ti vive in casa, figurarsi uno sconosciuto infante o preadolescente nato in un villaggio sperduto, senza acqua né luce, costretto a percorrere lunghe distanze per arrivare all’edificio scolastico; di più, pressato in famiglia perché si occupi del gregge, se maschio, o dei fratellini, se femmina. Tutto il complesso di attività è sostenuto da noi, lo Stato locale si limita a ospitare, braccia conserte.
Speranzosi e trepidi, attendiamo notizie sulle pagelle e i progressi ma, ahimé, essi non sempre sono quelli che vorremmo e, nel caso che narriamo, si rivelarono deludenti e demotivanti per due diversi soggetti, entrambi alle elementari. Ritirammo la fiducia e rinculammo: breve storia di una buona volontà sgonfiatasi causa presupposti sbagliati.
E’ infatti fuorviante partire lancia in resta sulla scorta dei documentari che fanno capolino sui media, basarsi sulle testimonianze gravemente offerte dagli specialisti, magari medici di provata competenza e onestà, ma che arrivano da circuiti professionali che permettono loro di capire dove “colpire” senza far danni o sprecare energie: in territori dove, ci dicono, un errore chirurgico, per esempio, verrà vissuto come una fatalità e non si corre il rischio di finire in manette davanti a un giudice o sbattuto sui media come un criminale.
I fraintendimenti sono sempre in agguato, dunque chiariamo che, se sono esistite organizzazioni che hanno lucrato o usato lo schermo del bene per altri fini, non è di loro che ci occupiamo; come nemmeno dei casi, denunciati da molti, in cui i denari servono per un intero clan e l’intestatario formale del contributo è rimasto analfabeta o casomai è solo lo specchietto per le allodole e finanzia suo malgrado la sorellona che viene a battere in Europa: no, questa è un’ oscura supposizione che deve eventualmente interessare la giustizia, di colà e di qui.
Resta sempre un po’ di rimpianto, la vocina della coscienza che ti rimorde: e se invece avessi perso l’occasione di salvare una ragazzina da forzate e precoci nozze, o il giovanottino che può finire in una banda di baby soldati? E tuttavia, davvero si è in grado di modificare le sorti del mondo senza che sia la struttura globale a cambiare rotta?
Oggi si presenta l’occasione di riflettere sulla materia e chiedersi se, per ipotesi, e anche quando il sostenitore (chiamato padrino, zio, o quant’altro) fosse in buona fede, non si contribuisca solo a lasciare quei paesi in una stagnazione emotiva ed economica, con le classi dirigenti del posto aggrappate alla tecnocrazia occidentale e ai privilegi che essa accorda: tanto c’è l’europeo/americano che, con i suoi sensi di colpa, la sua ideologia appassita o una fetta di vita di cui non sa più che fare, ti manterrà come meriti, perché prima ti ha colonizzato e poi sfruttato. Capito, vedova di Abbiategrasso o pensionato del Wisconsin?