L'Australia vieta i social media ai minori di 16 anni: un modello da seguire a livello globale?
L'Australia ha approvato una delle normative più restrittive al mondo sull'uso dei social media, vietandone l'accesso ai minori di 16 anni. La legge, destinata a entrare in vigore tra un anno, rappresenta un punto di svolta nella regolamentazione delle Big Tech, imponendo alle piattaforme come Instagram, Facebook (Meta) e TikTok di impedire ai minorenni di accedere ai loro servizi... oppure rischiare sanzioni fino a 49,5 milioni di dollari (australiani).
L'approvazione di tale divieto è giunta dopo un acceso dibattito che solo in parte ha diviso la nazione. Il provvedimento è stato accolto positivamente dal 77% della popolazione, secondo recenti sondaggi, grazie anche a una campagna mediatica di sensibilizzazione chiamata “Lasciateli essere bambini”, guidata dalla News Corp di Rupert Murdoch. Sullo sfondo, le testimonianze strazianti dei genitori di ragazzi vittime di cyberbullismo e autolesionismo, raccolte da un'inchiesta parlamentare proseguita fino all'anno in corso.
Con questa legge, l'Australia si posiziona come apripista in un panorama internazionale sempre più critico nei confronti delle Big Tech. Paesi come Francia e alcuni Stati americani hanno adottato restrizioni analoghe, ma non altrettanto rigide, tanto da non prevedere deroghe di alcun tipo.
Questa decisione segue una serie di iniziative che hanno rafforzato l'antagonismo tra il governo australiano e i giganti tecnologici, come l'obbligo per le piattaforme di pagare royalties ai media per la condivisione dei contenuti.
Le aziende del settore, tra cui Meta e TikTok, hanno espresso preoccupazioni per l'impatto del provvedimento. Un portavoce di Meta ha dichiarato che la legge è stata approvata troppo rapidamente, senza un'adeguata consultazione e senza considerare le misure già adottate dall'industria per garantire la sicurezza dei minori, mentre alcuni esperti del settore hanno manifestato perplessità sulle modalità per verificare l'età degli utenti.
La legge rappresenta una vittoria politica per il primo ministro Anthony Albanese, ma solleva interrogativi sul suo impatto reale. Da un lato, offre una risposta concreta alle crescenti preoccupazioni sulla salute mentale dei giovani, dall'altro, rischia di compromettere la libertà di espressione, aumentare la raccolta di dati personali e alienare giovani bisognosi di supporto.
Con l'implementazione prevista per gennaio 2025, il mondo guarderà all'Australia per capire se il divieto rappresenterà un modello efficace o se aprirà nuove sfide nel rapporto tra tecnologia, società e istituzioni.