I primi attori di sesso maschile, almeno in USA, erano in genere teppisti degenerati presi non dalla strada, ma dal sottosuolo, e non perché facessero i minatori. Dai tempi del cinema in embrione, il nickelodeon (sorta di juke box con immagini in movimento), che subito venne trattato col termine “cartoline alla francese”, si puntava al nuovo sistema di intrattenimento, con un occhio di riguardo al porno. L’era del muto coincise con l’impostazione del modello maschile americano, ma inizialmente si intendeva lanciare una icona lasciva per il volgo, possibilmente non very american, preferibilmente europeo, poiché il vecchio continente era la sentina di tutti i mali, contrapposto ai valori yankee: ed ecco la prima vera star conosciuta a livello mondiale, quel Rodolfo Valentino il quale, come frutto di un unione italo- francese, nel ruolo di ambiguo dissoluto entrava benissimo.

Fu il periodo in cui la leziosità di molti protagonisti nascondeva debosce, soprattutto uso di droga pesante, e le morti precoci non si contavano. Tuttavia gli States avevano bisogno di qualche eroe, pertanto da Tom Mix in avanti si studiarono via via nuovi archetipi da lanciare, anche nel settore avventuroso, ma soprattutto in quello della commedia romantica o qualcosa che stesse a metà strada. Come sempre evitiamo elencazioni, limitandoci a un nome, Spencer Tracy (1899/1967): radici irlandesi, non bello ma “tipo”, un rude che sapeva essere buono, bigamo nella vita, ma assolto con le attenuanti: moglie esaurita, mentre l’altra, Catherine Hepburn, era così cool che i due si ricordano come primo esempio di relazione irregolare degna di tolleranza, per la società a cui la loro professione si rivolgeva. Unico vizio di Tracy, l’etilismo, che lo portò allo sfinimento neppur tanto vecchio, consentendogli a stento di terminare le riprese del gioiello politically correct “Indovina chi viene a cena?”.

Saltiamo ai giorni nostri, che poi sarebbero quelli della generazione che va tra i cinquanta agli ottanta circa: gli altri non hanno partecipato della polvere di stelle, fagocitati dal mondo in rete che li ha resi più androidi manga, che icone. Potremmo immaginarli tutti come “Un Uomo da marciapiede” (“Midnight cowboy”), riprendendo il titolo del leggendario film diretto da John Schlesinger, interpretato dai quasi ancora esordienti Dustin Hoffmann a e John Voight.

Chi sono davvero i bellissimi, o se non altro fascinosi, che ci hanno occhieggiato dal grande schermo? Che passato hanno? 

Non faremo certamente nomi, ma questa vitaccia ingenerosa è rimasta così sessista che, se esce uno scandalo, sarebbero solo le colleghe donne a passare dal “sofà del produttore”, magari minorenni.

Nossignore, così non è, da quel sofà passa chiunque, e ti ordina come e quando muoverti e comportarti; se non arriva a dirti con chi, controlla gli andamenti e a volte ordina nozze e rotture: Marilyn fu costretta a divorziare dal fotografo di scena e critico Robert Slatzer, che non compare quasi mai nelle sue biografie, ma le fu sempre devoto. E se si pensa che oggi sia diverso, ahi come si sbaglia.

La morte prematura di un valente cineasta e attore come Philip Seymour Hoffman (1967/2014) dovrebbe aver svelato, ce ne fosse ancora bisogno, che fare l’attore significa prestarsi a un gioco che si è fatto sempre più duro e forse la categoria stessa non reggeva, fino a che la sospensione forzata di quasi tutte le attività di spettacolo ( a parte la fiera televisiva ormai su binari stretti e visione priva di respiro) ha loro consentito di riposare, tacendo s’intende ( si registra un timido tentativo di Richard Gere, subito stoppato, meglio si dedichi alla misteriosa terza paternità arrivata in aprile, a settant’anni).

Il respiro: ecco, tutto il male che si vuole può essere detto sul mondo di Hollywood ( e anche degli altri paesi…), ma qualcosa, quelle pellicole concedevano, un moto emotivo arrivava al cuore, dardeggiava, lasciava tracce imperiture.

Quando il prestante texano Joe Buck arriva a New York, siamo nel 1969, non ci viene nascosto cosa sia una metropoli americana, e quella realtà in generale, ma noi no, testardi a volerci andare ugualmente.

Solo finzione? A giudicare dalle recentissime dichiarazioni di John Voight, parrebbe di no.