Edgardo Curcio: a Sorrento echi della Secessione Viennese
La Fondazione Sorrento e l’Istituto di Cultura Torquato Tasso, con il patrocinio del Comune di Sorrento, dell’Università degli Studi “Federico Il” di Napoli oltre che con il sostegno della Direzione regionale dei Musei della Campania, hanno organizzato la mostra “Edgardo Curcio. Echi della Secessione viennese a Napoli”.
L’esposizione è allestita nelle sale di Villa Fiorentino in Sorrento e si articola in sei sezioni: la prima offre l’opportunità di capire l’ambiente artistico dei primi decenni del Novecento, a partire da Giuseppe Boschetto e della sua Scuola libera che accolse alcuni degli artisti napoletani protagonisti dei movimenti giovanilistici dell’epoca, tra cui il Curcio.
Nomi quali Eugenio Viti, Giuseppe Aprea, Edoardo Pansini, Saverio Gatto, Gennaro Villani e Roberto Scognamiglio si susseguono nella prima sezione della mostra. La seconda sezione raccoglie alcuni capolavori di Curcio che sinteticamente ne delinano l’intero percorso. Altre quattro sezioni seguono uno schema cronologico sui temi prediletti dall’artista: paesaggi, nature morte, la figura femminile e le scene di convegni familiari dove è protagonista la donna borghese, elegante senza ostentazione.
La ricerca di Edgardo Curcio risentiva tanto del Postimpressionismo quanto delle Secessioni mitteleuropee, in contrapposizione con il colorismo della tradizione napoletana. Nel 1911 Pansini raggiunse il Curcio a Roma e insieme visitarono l'Esposizione internazionale di Valle Giulia riportandone una forte impressione: Zuloaga, Anglada, Klimt e F. von Stuck costituivano le maggiori attrazioni nel panorama internazionale.
Il Curcio che a Roma aveva cominciato a seguire l'indirizzo divisionista del napoletano E. Lionne, del giovane Balla e di C. Innocenti, rimase affascinato da Klimt. Senza divenire mai un seguace pedissequo del pittore austriaco, ne assorbì la lezione dal punto di vista sia tecnico sia compositivo e ne integrò il pensiero e la teoria nella visione napoletana.
L'intervista di Carlo Marino a Luciano Russo: