TACCUINO #55

I coaguli ematici, densi conglomerati di materia organica, si depositano come detriti nelle arterie della menzogna strutturata, annidandosi nei meandri dell’esistenza corrotta. L’ossidazione temporale ne accentua la consistenza necrotica, trasfigurandoli in marcatori tangibili della manipolazione sistematica. I liquidi opalescenti, secrezioni di una verità corrosa, trasudano inesorabilmente dalle epidermidi di chi ha costruito un’architettura di inganni, dissolvendosi come libagioni impure su altari consumati dall’ipocrisia ritualizzata. Il tempo stesso si contrae e si torce, spezzando la linearità dell’essere e precipitando l’individuo in un vortice di degenerazione irreversibile. Ogni interstizio del reale si impregna di un’oscura viscosità, in cui la coscienza si dibatte, prigioniera di una struttura ineluttabile, artefatta per soffocare il respiro dell’autenticità.

La sopravvivenza è stata monetizzata e il respiro permutato in esalazioni tossiche; il battito cardiaco, ridotto a mera unità di scambio in un’economia di sfruttamento; la carne, dilapidata nella dissoluzione dell’identità ontologica. Sulla pelle si inscrive la necrosi del patto sociale, nel cuore si incide un’inarrestabile entropia, nella muscolatura si impone la paralisi di un’esistenza asservita al silenzio. La transazione si è compiuta nel mercato della perversione, dove il valore si misura in funzione della sistematicità dell’inganno e della prostituzione ideologica, e il tradimento si configura quale architettura metodologica dell’essere. Le pulsioni più viscide si travestono di retorica, le bocche pronunciano discorsi infetti di oblio, e le mani che un tempo stringevano promesse ora strangolano verità scomode. Disgrazie.

Quanta putrefazione è necessaria per obliterare la luce? Quanti sguardi devono svuotarsi nel riflesso di iridi deviate, nell’eco di enunciati che barattano dignità per il miraggio evanescente del dominio? Il potere esercitato su fondamenti inconsistenti si dissolve nella sua stessa impermanenza, lasciando in eredità solo la persistenza della vacuità. L’aria si satura di presenze evanescenti, di echi di voci consumate dall’usura della menzogna. E nelle stanze del non detto, nei corridoi angusti della coscienza corrosa, risuona il suono sordo della disfatta.

L’ontologia dell’esistenza si frantuma in dissonanze, in urla sigillate entro fluidi vischiosi che si insinuano sotto l’epidermide, infiltrandosi nelle strutture osteologiche fino a decomporne la sostanza. Nessun atto contiene una funzione catartica, nessuna intenzione porta con sé l’espiazione: resta solo la macchia irreversibile di chi ha elevato la falsità a principio regolatore della propria identità, di chi ha sacrificato ogni integrità sull’altare dell’infamia sistemica. Si trascina il peso dell’irreparabile, l’eco delle scelte avvelenate si insinua come veleno nel midollo, e la notte si riempie di brividi di un passato che non ha mai smesso di divorare il presente.

Eppure, nelle paludi di questa carne disfatta, tra le rovine di un’identità erosa, risuona ancora un’eco, fievole ma ineludibile. È la risonanza di una verità assassinata, di un tempo frantumato nella rincorsa di illusioni, di ciò che avrebbe potuto essere prima che il sangue si raggrumasse, prima che l’essere fosse asservito al silenzio infame della vergogna. E in quell’eco, fra le macerie dell’autenticità, pulsa ancora un battito remoto, fragile ma tangibile, che persiste, che si oppone, che rifiuta l’annichilimento. Quel battito risuona come un richiamo ancestrale, un impulso arcaico che, nonostante il fango e la corruzione, continua a gridare la sua volontà di esistere, di ricomporsi tra le crepe della disfatta, di strapparsi dall’ombra, per emergere, infine, in un respiro che sia ancora suo.
 

GrumiGrumi di sangue rappreso, coaguli
che scorrono lenti nel fiume della menzogna.
Liquidi opachi, trasudanti vergogne,
sprecati come offerta su altari corrotti,
dove il tempo è stato piegato, manipolato,
torcendo l’essere in un nodo di stortura
Hanno barattato il respiro con il veleno,
il battito con un prezzo da contare,
regalando alla carne la morte,
al cuore il marciume,
nel mercato dove il valore
è misurato in ipocrisia e prostituzione.
Quanta putredine serve a ingannar la luce?
Quanti sguardi si spengono
nel riflesso di occhi che mentono?
Color che vendono dignità
per un frammento di potere,
per plauso breve, per un dominio vuoto.
L’esistenza si contorce, si spezza,
e ogni frammento è urlo represso,
Grida intrappolate nei liquidi scuri
che scorrono in sotto la pelle.
Qui marciume, degrado,
eco lontano, sussurro
che non vuole morire!
È il ricordo della verità tradita,
il sentore di ciò che poteva,
prima che il sangue si rapprese,
prima che l’esser fosse venduto
al silenzio, al muto mancato dell'oblio.