Il sipario si alza su una storia che, a dirla tutta, non sorprende. Luigi Sbarra, ex leader della CISL, è stato ufficialmente arruolato nel governo Meloni, con la nomina a sottosegretario al Sud. Una mossa che chiude il cerchio di un percorso che da tempo era sotto gli occhi di tutti.
Solo quattro mesi fa, Sbarra salutava la guida del sindacato sotto i riflettori, sorridente accanto alla premier, scambiandosi complimenti e attestati di stima che avevano già il sapore di un'intesa più politica che istituzionale.
Ora dopo appena 60 giorni dall'aver lasciato ufficialmente l'incarico di segretario della Cgil, Luigi Sbarra lo ritroviamo seduto al governo: giusto e meritato premio per la condiscendenza mostrato con l'attuale esecutivo. Non c'è stato nemmeno bisogno di attendere un rimpasto o un giro di poltrone: Meloni lo ha voluto subito al suo fianco.
La scelta arriva immediatamente dopo il fallimento del referendum sui quesiti della CGIL, contro i quali Sbarra aveva speso tutte le sue energie, attaccando frontalmente Maurizio Landini e liquidando il sindacato rivale come una caricatura fatta di "antagonismo, populismo e benaltrismo".
Oggi, con il suo ingresso nel governo, Sbarra ha "spiegato" il perché di scelte non condivise con Cgil e Uil che al tempo erano sembrate illogiche a tutela dei propri iscritti.
Durante la sua gestione, la CISL si è distinta per un atteggiamento piuttosto accondiscendente verso i vari governi, da Conte a Draghi, ma in particolar modo con l'esecutivo Meloni, con il quale la sintonia è stata ancora più marcata. Nessuna adesione agli scioperi generali, nessuna vera contrapposizione sulle manovre più controverse, dalla sanità al Jobs Act. Un sindacato che ha rinunciato al conflitto per garantirsi un posto a tavola. La conseguenza? Ora quel posto è stato servito.
Sbarra, 65 anni, calabrese di Pazzano, una carriera sindacale iniziata con la FISBA e costruita con pazienza nei meccanismi interni della CISL, è sempre stato il volto del sindacalismo dialogante, quello che preferisce la trattativa accomodante allo scontro. Una strategia che oggi si traduce in un approdo politico ben retribuito.
Annunciato il pensionamento pochi mesi fa, con il passaggio di consegne a Daniela Fumarola, l'ex segretario ha fatto appena in tempo a togliersi la giacca sindacale per indossare quella governativa. E così, mentre il Paese assiste all'ennesima trasmigrazione dal sindacato al potere esecutivo, resta il retrogusto amaro di un sistema dove la rappresentanza dei lavoratori finisce troppo spesso per diventare una corsia preferenziale verso incarichi pubblici.