Nel rapporto tra Roma e l'Italia esiste un certo dualismo. Se un dualismo c'è esso non può riferirsi che al passaggio dall'Evo antico all'Evo moderno. Infatti, per l'evo antico, non si parla di italiani, ma semmai di italici, che, inquadrati nei ranghi romani, insieme alle altre popolazioni stabilite in Italia, come i Celti, si gettarono alla conquista del mondo allora conosciuto.

Anche dal punto di vista linguistico può essere ravvisato un "dualismo": nell'età antica si parlava latino, mentre oggi si parla l'italiano: peraltro si può fondatamente dimostrare che il latino non è una lingua morta, ma si è evoluta nel ceppo delle lingue romanze fra le quali l'italiano vanta la maggiore conservatività nei  confronti della lingua-madre. 

Così, l'Italia è il Paese delle quattro letterature: una, quella latina "pagana", incentrata sulla missione universale di Roma del "parcere subiectis et debellare superbos"; la seconda è quella latino-cristiana, ispirata dalla fede nel Cristo risorto; inoltre abbiamo, in posizione speculare, una letteratura italiana di ispirazione cattolica ed una di ispirazione laica e secolare. Bisogna avvertire che tra queste letterature i confini sono labili, in quanto bene spesso esse si fondono e si completano a vicenda.

Ad es., il Cardinale Pietro Bembo, è stato colui che ha stabilito il canone prosastico (boccacciano) e poetico (petrarchesco) della letteratura italiana, scrivendo anche opere in latino di ispirazione classica. D'altra parte, abbiamo un Giordano Bruno, fecondo scrittore di opere filosofiche ed autore di una interessante commedia (Il "Candelaio") di chiara impronta umanistica, finito arso vivo per eresia. Un esempio di commistione tra paganesimo e cristianesimo è offerto da Jacopo Sannazaro, poeta napoletano del '400, autore sia del fortunato prosimetro "Arcadia", sia del componimento latino, di splendida fattura, "De partu virginis".

Anche gli antichi scrittori cristiani, pur combattendo risolutamente la religione tradizionale romana, non poterono fare a meno di confrontarsi con essa, contribuendo efficacemente a tramandarla ai posteri. Un esempio è dato dal filosofo Severino Boezio, appartenente alla famiglia nobiliare Anicia, passata sicuramente al Cristianesimo fin dall'età di Costantino. Egli apparteneva ad una età di passaggio ed è stato significativamente definito ora come "l'ultimo dei Romani", ora come il "primo degli scolastici"; il suo sogno era di conciliare la filosofia platonica con quella aristotelica. 

Il suo "De consolatione philosophiae", è tutto intessuto di cultura classica, senza alcun riferimento al Cristianesimo; peraltro gli sono stati attribuiti opuscoli teologici di indiscutibile ispirazione cristiana.