Molti cittadini americani, anche repubblicani, ancora oggi ritengono che vi siano state interferenze russe durante le elezioni americane.

Ora, tra i giuristi americani vi è Nathaniel Persily, il quale, dalla School of Law dell'Università di Standford, dove insegna, fa riferimento ad una legge del 2002 (“Bipartisan Campaign Reform Act” del 2002), per sostenere che la collusione vada considerata come un atto criminale (un reato).

La fattispecie legislativa si riferirebbe, inizialmente, solo all’atto del cittadino straniero che spende denaro per influenzare un'elezione federale, caso in cui l’azione costituirebbe sicuramente un crimine dello straniero. Ma, se poi un cittadino degli Stati Uniti si coordina, complotta con o assiste questa parte straniera nella relativa spesa, allora ciò costituirebbe anche un crimine del cittadino americano.

L’Opinionista Cathy Milne riporta questa tesi per sostenere che anche quando la collusione non possa essere ritenuta illegale, nei termini esposti da Persily, tuttavia l’aver tollerato che la Russia, il più grande paese avversario degli Stati Uniti, possa influenzare l'esito delle elezioni americane, comporterebbe comunque una seria responsabilità morale.

In contrario, Trump ha già sostenuto che "la collusione non è un crimine", riecheggiando la difesa che di lui ha fatto l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani.

 

Fonte Liberty Voice www.guardianlv.com, ediz. 27.9.2018