Mentre il primo ministro australiano Scott Morrison sembra ormai deciso a trasferire l’ambasciata australiana a Gerusalemme, nonostante le perplessità e le proteste di molti paesi dell'area del Pacifico con cui Canberra ha ottime relazioni economiche, arriva l'annuncio del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, della chiusura del consolato americano a Gerusalemme, le cui funzioni saranno inglobate in quelle dell'ambasciata, che rappresenterà la sola missione diplomatica statunitense in Israele.

La scelta dell'amministrazione Trump, ha dichiarato Pompeo, è solo relativa ad una questione di efficienza e non ha risvolti politici: non è un cambiamento della politica Usa in relazione a Gerusalemme e ai Territori occupati.

Nonostante ciò, però, è evidente che adesso i palestinesi che per qualsiasi ragione avevano necessità di ricorrere ai servizi offerti dal Consolato Usa, adesso dovranno rivolgersi all'ambasciata che, gioco forza, diventa una sorta di "forca caudina", causa l'implicito riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele.

Il Segretario Generale dell'OLP, Saeb Erekat, ha commentato questa decisione come l'evidenza che l'amministrazione Trump stia ormai collaborando con il governo israeliano per imporre una soluzione alla questione mediorientale che favorisca il controllo permanente della Palestina da parte di Israele, piuttosto che la soluzione a due Stati sui confini del 1967.

La decisione degli Stati Uniti di chiudere il consolato americano non ha nulla a che fare con l'efficienza, quanto piuttosto con l'intenzione di disfarsi delle precedenti scelte su cui poggiava la politica estera americana, incoraggiando così le violazioni dei diritti umani e i crimini commessi da Israele.

Gli Stati Uniti, ha proseguito Erekat, in tal modo non possono svolgere alcun ruolo nel processo di pace: l'amministrazione Trump è parte del problema, non parte della soluzione.