Uno studio delle Università di New York e di Utrecht lo ha dimostrato: due persone che dialogano o una classe che ascolta entrano in una sintonia che non è solo metaforica ma reale. Lo riporta oggi un articolo di Elena Dusi su “La Repubblica” alla pagina 21.

‹‹Le loro onde registrate con l’elettroencefalogramma –spiega- iniziano a oscillare in sincronia quando le spiegazioni sono davvero coinvolgenti. Tendono invece ad andare ognuna per conto proprio quando la mente vaga e pensa ad altro››.

Si chiama “sincronia neuronale”. A studiarla per primo era stato Uri Hasson, dell’Università di Princeton, ma con un sistema, la risonanza magnetica, inapplicabile a un gruppo vasto di persone. La nuova ricerca -questa la notizia affascinante- ha stabilito che basterebbe applicare alla nostra testa un baschetto con gli elettrodi per ottenere lo stesso risultato: controllare se siamo interessati a quanto ci viene detto, se riteniamo che il nostro interlocutore stia mentendo, se siamo in accordo con quanto ci propone.  

Sugli scopi per cui questa tecnica, se adottata su larga scala, potrebbe essere utilizzata, la giornalista pone un inquietante interrogativo che non possiamo non condividere. Che ne sarebbe della nostra privacy?

E tuttavia la voglia di andare oltre, di immaginarne l’applicazione per arrivare a capire che cosa pensano, e perché lo pensano, le nostre menti quando sentono parlare la politica è irresistibile.

Ragioniamo. O se preferite, fantastichiamo. Arriveremmo ad apprendere gli stravaganti meccanismi relazionali dei neuroni che inducono a seguire, e votare, coloro che comprovatamene hanno mentito e fatto promesse che poi non hanno mantenuto. Scoveremmo, e impareremmo a disinnescarlo, l’algoritmo della nostra mente che calcola come vincente la menzogna e non la verità, la fedeltà e non la lealtà, la vendetta e non la giustizia, l’indifferenza e non la solidarietà. Individueremmo in che punto del cammino della ragione sia collocata la misteriosa rotatoria in cui le nostre pulsioni più sane cedono il passo a quelle malsane. Sapremmo il luogo in cui si nasconde il relé che disattiva i nostri dispositivi di allerta di fronte alla curiosa semantica in uso nel mondo politico e dell’informazione. E alla fine smetteremmo di ascoltare chiunque voglia confondere il nostro giudizio proponendoci la demagogia come “populismo”, il nazionalismo e il protezionismo come “sovranismo”, il passato che non molla come “il futuro che ritorna”, l’abbandono di un gioco truccato come un “tradimento”, le consorterie come alleanze. E a lungo si potrebbe continuare con gli esempi.

Lo so, alla politica questo scenario può apparire devastante, ma non lo è per il futuro dei nostri figli ed è questo che importa.

Sì, nessun dubbio, imparare a conoscere i punti deboli e quelli forti della nostra mente aiuterebbe molto a difenderla dai manipolatori e a dare invece la sua fiducia a chi se la merita. Non sarebbe una cosa da poco, cambierebbe il mondo.

In attesa che la scienza spieghi come arrivarci, potremmo intanto lavorarci su per conto nostro magari cominciando dalla scuola, fin da quella materna.

Potrebbe essere molto utile in vista delle prossime elezioni. Agli elettori e anche ai candidati.