Questo post vuole essere un invito alla filosofia italiana. In essa sono chiaramente visibili tre filoni: uno naturalistico, uno storico-giuridico ed uno teologico. Tenendo in disparte le scienze esatte, il cui metodo sperimentale risale a Galileo Galilei, non ci occuperemo di scienziati quali Volta, Galvani, Redi, Spallanzani ecc., perché esulanti dal campo specifico della presente, breve, trattazione. Dobbiamo ricordare che, in origine, la scienza medica era strettamente intrecciata alla filosofia, ed era considerata filosofia naturale. Anche la scienza, almeno fino a qualche secolo fa era considerata come filosofia naturale, assunta come attività intellettuale volta a studiare la natura attraverso i suoi stessi principi. Ma a noi interessa il vero e proprio pensiero filosofico, indipendente da qualsiasi ausilio di strumentazioni, e consistente nella libera speculazione sulla natura e sui fini del creato e della storia. Iniziamo col filone naturalistico, detto appunto della filosofia naturale.
Nel '500, si distinguono, nell'aristotelismo, tre nomi: Jacopo Zabarella, Cesare Cremonini e Giulio Cesare Scaligero, emigrato in Francia. Il primo fu un illustre logico, mentre il terzo venne considerato come ornamento dell'età sua, per il suo vasto sapere. Esponente di spicco del naturalismo fu il cosentino Bernardino Telesio, ricordato soprattutto come autore del trattato "De rerum natura iuxta propria principia", che respinge in blocco la fisica aristotelica, ritenendo il caldo ed il freddo come i due principi essenziali della natura. Ma eminente panteista fu Giordano Bruno, campano di Nola. per il quale il Dio-natura è infinito e composto di infiniti mondi. Altri insigni naturalisti e scrittori di cose naturali furono Pietro Pomponazzi, dello studio di Mantova, la cui ricerca è incentrata sul fato, sul libero arbitrio e sulla fede nell'astrologia, ed il pugliese Vanini, che condivise la sorte di Bruno e fu condannato ad essere bruciato sul rogo. Ancora ricordiamo Girolamo Fracastoro, che fu anche astronomo, secondo il quale il Tutto è caratterizzato da una sorta di "simpatia" degli elementi o atomi che lo compongono. A partire dal '700, si sviluppa un secondo filone della filosofia italiana: quello storico-giuridico. Maestro insigne ne fu il filosofo napoletano Giambattista Vico, critico risoluto del razionalismo cartesiano.
Con Vico, la riflessione filosofica prende ad oggetto il diritto ed il divenire storico. Massima vichiana è quella del "verum ipsum factum", secondo la quale gli uomini conoscono veramente solo ciò che fanno e creano; e tuttavia Vico accoglie anche influenze platoniche. Universalmente nota è poi la teoria dei "corsi e ricorsi storici". Ricordiamo ancora i nomi di Pietro Giannone, criticissimo del potere temporale della Chiesa, che scrisse "Il Triregno" , il napoletano Francesco Maria Pagano, che riprese e sviluppò temi vichiani, ed infine il grande illuminista Gaetano Filangieri, dovunque noto per aver scritto la monumentale "Scienza della legislazione", dove patrocina la causa di una razionalizzazione del sistema legislativo, allo scopo di favorire il progresso sociale. Più a Nord troviamo la notevole figura di Giandomenico Romagnosi, insigne giurista e filosofo del diritto, con interessi anche scientifici. Ma ragguardevoli sono anche il federalista Carlo Cattaneo, e il milanese Cesare Beccaria, che scrisse il pregiatissimo saggio "Dei delitti e delle pene", presto divenuto un classico dell'illuminismo europeo.
Terzo filone è quello teologico, inaugurato già nell'alto Medioevo da Anselmo d'Aosta e proseguito nel '200 dall'Aquinate San Tommaso, che molto si diede da fare con le prove ontologiche dell'esistenza di Dio. Di ispirazione classica è invece la teologia platonica di Marsilio Ficino e quella inter-disciplinare di Giovanni Pico della Mirandola, che concepì di unire gli apporti di tutte le culture per giungere ad una sintesi sull'idea di Dio. Più vicini a noi sono Antonio Rosmini Serbati, critico dell'idealismo e Vincenzo Gioberti del quale si disse che la sua filosofia fosse rimasta al tomismo. Per concludere un breve cenno a Benedetto Croce e a Giovanni Gentile, esponenti in vista dell'idealismo novecentesco italiano, che aprirono le porte della filosofia italiana all'hegelismo, preceduti però da Bertrando Spaventa, e al marxista Antonio Gramsci.
Da questa brevissima sintesi è lecito trarre due conclusioni: la prima è che la filosofia italiana non manca di una logica coerenza interna: le filosofie straniere penetrano con ritardo in Italia e il positivismo, coltivato con cautela da Roberto Ardigò, l'idealismo e il marxismo, possono essere considerati come parte di un quarto filone sincretico della filosofia italiana; la seconda è che i filosofi italiani giammai furono costruttori di veri e propri "sistemi filosofici" di tipo europeo ed anglosassone: la realtà infatti non è sistematica.