Il disegno di legge della maggioranza arriva in Aula il 17 luglio: il Servizio sanitario ne resta fuori, i costi ricadono sui malati. Opposizioni e medici parlano di "legge classista".
Il governo(post) fascista guidato da Giorgia Meloni è riuscito a trovare un'intesa solo a metà. Il disegno di legge sul fine vita—quattro articoli approvati il 2 luglio dalle commissioni Giustizia e Sanità del Senato con il voto compatto della maggioranza—ha spaccato le stesse forze che l'hanno firmato e ha ricompattato le opposizioni, tutte contrarie. Il calendario ne prevede l'arrivo in Aula il 17 luglio, ma in nove giorni potranno essere presentati emendamenti e nessuno esclude uno slittamento ulteriore.L'articolo 4:
Il passaggio contestato è l'articolo 4: «Il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il Sistema sanitario nazionale non possono essere impiegati al fine della agevolazione del proposito di fine vita». Tradotto: chi vuole ricorrere al suicidio assistito dovrà procurarsi da sé medicinali, attrezzature e professionisti, pagando di tasca propria.
Secondo fonti di Forza Italia, quel divieto è stato "il rospo da ingoiare" per portare a casa l'accordo con Fratelli d'Italia. Un compromesso che però scarica ogni costo—economico e organizzativo—sui malati e sulle loro famiglie.
Al posto delle attuali valutazioni regionali nascerà un Comitato nazionale di valutazione con sette membri (giurista, bioeticista, anestesista‑rianimatore, palliativista, psichiatra, psicologo, infermiere) nominati dal presidente del Consiglio. Avrà 60 giorni per decidere sulle domande, prorogabili di altri 30 nei casi complessi, e il mandato durerà cinque anni, rinnovabili due volte.
Il relatore Ignazio Zullo (FdI), medico, è lapidario: «Morire non è un diritto. È una scelta personale, quindi i servizi pubblici non sono tenuti a intervenire». Il parallelo che fa è quello con i farmaci di fascia C: «C'è chi può permetterseli e chi no. Se uno non ha i soldi per l'aspirina, semplicemente non la prende». Una logica che le opposizioni bollano come «classista» e che, per +Europa, condannerà chi non ha mezzi a «soffrire le pene dell'inferno».
Anche l'Ordine dei medici attacca: escludere il SSN «è un errore, perché la sanità pubblica serve a difendere la dignità delle persone», ricordando che il diritto alle cure non può diventare privilegio.
Qui il testo precipita nel vuoto. In ospedale no, perché tutto ciò che è SSSN è bandito. Nelle cliniche private difficilmente, spiega lo stesso Zullo: «Chi allestirebbe un protocollo per uno o due casi l'anno?». Restano la casa del paziente o strutture improvvisate, sempre che il malato riesca a reperire farmaci letali, pompe infusioni e personale disposto a intervenire "fuori servizio". È il far‑da‑sé legalizzato.
I promotori (da quanto appena riassunto dei poveri disperati, dal punto di vista ideologico, dei disgraziati senz'arte né parte dal punto di vista giuridico) giurano di aver blindato il testo, ma i costituzionalisti fanno notare due falle:
- Violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) perché l'accesso dipende dal reddito.
- Contrasto con la sentenza 242/2019 della Consulta, che subordinava il suicidio assistito al coinvolgimento del SSN proprio per tutelare le persone fragili.
Gli emendamenti si potranno depositare fino a martedì 8 luglio. Nel frattempo, associazioni per i diritti civili e Ordine dei medici preparano audizioni e memorie critiche. Se il testo non cambierà, al Senato la maggioranza potrà comunque farlo passare da sola; alla Camera la partita è più incerta.
La maggioranza rivendica di aver "dato una risposta" dopo anni di stallo. Ma ha scelto un modo assurdo per farlo, trasformando il fine vita in un privilegio per chi se lo può pagare. Questo disegno di legge è una vittoria delle frange più ideologiche del (post) fascismo, che così festeggiano un "dispetto" a chi soffre... come se decidere di porre fine alla propria vita sia una specie di divertimento... da ostacolare!
Ma come è possibile che gentaglia simile possa governare una nazione?