Se c’è un tratto distintivo che caratterizza il popolo italiano, è senza dubbio l’arte di arrangiarsi. Non si tratta solo di un’abilità nel trovare soluzioni ingegnose ai problemi quotidiani, ma di un vero e proprio modus operandi che permea la società a tutti i livelli. L’italiano medio, anziché battersi per un sistema più equo e giusto, spesso preferisce cercare scorciatoie per avvantaggiarsi individualmente, anche a scapito degli altri.
Un esempio lampante di questa mentalità si ritrova nell’ambito della pubblica amministrazione, dove le disuguaglianze salariali sono evidenti e ingiustificate. Chi lavora nei Palazzi del potere, come il Quirinale, Chigi, Montecitorio, Madama, Consulta, e via discorrendo, percepisce stipendi nettamente superiori rispetto ai colleghi che svolgono le stesse mansioni in ministeri meno ‘prestigiosi’. Il principio meritocratico sembra venir meno, sostituito da logiche di influenza e privilegi consolidati nel tempo.
A questo punto ci si aspetterebbe una reazione collettiva volta a eliminare tali disparità, con proteste, richieste di trasparenza e riforme strutturali. Invece, la risposta più comune dell’italiano medio è ben diversa: piuttosto che lottare per un sistema più equo, si cerca in tutti i modi di entrare nei circuiti più remunerativi. Raccomandazioni, conoscenze, piccoli favori: tutto diventa lecito pur di ottenere un posto al sole.
Questa attitudine, pur essendo frutto di un contesto storico e culturale specifico, finisce per alimentare un circolo vizioso. Ogni volta che un individuo riesce a migliorare la propria posizione grazie a vie traverse, si rafforza la convinzione che il ‘sistema’ non possa essere cambiato, ma solo aggirato. Così facendo, l’Italia rimane intrappolata in un immobilismo sociale ed economico che penalizza chi meriterebbe di emergere davvero.
Non si tratta di un problema recente, ma di una tendenza radicata che affonda le sue radici nella storia del paese. Dai tempi del feudalesimo fino alla Repubblica, il rapporto degli italiani con il potere è sempre stato segnato da una certa dose di scetticismo e diffidenza, che ha portato a privilegiare il tornaconto personale rispetto al bene comune.
Eppure, esistono anche esempi di resistenza a questa mentalità, persone che credono ancora nella giustizia sociale e nella possibilità di cambiare le cose dall’interno. Il cambiamento, tuttavia, richiede uno sforzo collettivo e la volontà di abbandonare il vecchio paradigma del ‘farsi furbi’ per costruire un futuro più equo per tutti.
Forse, il vero problema non è solo il sistema, ma l’attitudine con cui lo si affronta. Fino a quando la soluzione più immediata sarà quella di aggirare l’ostacolo piuttosto che eliminarlo, l’Italia continuerà a rimanere il paese dei ‘furbetti del quartierino’.