Ilaria Gurrado, una bambina di otto primavere, attraverso di lei vivo la poesia dell’eco della mia infanzia magicamente ritrovata, poiché la mia infanzia è stata vissuta diversamente a causa dei guai legati alla mia salute.

Quando lei è nata ricordo un germoglio che schiariva un’alba umida, dove il cielo piangeva lacrime di rugiada. Ricordo in lontananza l’ascolto forte del suo primo pianto, una melodia incerta, come le sue prime parole tartagliate, lame d’acciaio che fendevano un cuore caldo.

Quando Ilaria, giunge a me, la primavera sembra non avere piu stagioni, sembra quasi restare eterna. Lei, consapevole e ignara a tratti del mio essere neofita di lettere e letteratura, non mi conosce come autore di libri. Ama l’essere con la purezza del suo cuore, l’amore che danza nella culla di un odio d’amore, in fondo lo sappiamo da adulti che l’odio e l’amore sono facce della stessa medaglia.

Odio d’amore come viene ricordato nel libro da Alfredo Todisco, l’amore non si presenta come un’immagine idealizzata, ma si rivela un’esperienza che intreccia intorno a sé la gioia e il dolore. Quando Ilaria giunge a me, sembra come se io potessi cogliere dei fiori dagli alberi.

Se scrivo sul mio compagno quaderno righe confuse, oppure su uno “schermo” come lo chiama lei, si ferma a qualche passo, in mezzo alla stanza, più imbronciata che rispettosa, un’espressione che oscilla tra il disappunto e la compassione, un silenzio che parla.

Ilaria, la mia arte autentica, un canto di rinascita, un’ode all’infanzia perduta e ritrovata, lei è quel po' del possibile “sennò soffoco”.