La clessidra è inclemente nel ricordarci che dal 4 marzo sono trascorsi 51 giorni e che, a questo punto, si è ridotta al lumicino la speranza di trovare un accordo tra le forze parlamentari per dare al Paese un governo nel pieno delle sue funzioni.

La verità è che in queste sette settimane i protagonisti della scena politica hanno giocato a rimpiattino scambiandosi i ruoli, di momento in momento, eccitati dal miraggio di poter arrivare per primi a conquistare la tana (NdR: cioè Palazzo Chigi).

Giorni e giorni gettati alle ortiche strafottendosene delle difficoltà patite da milioni di cittadini.

Ora, però, come amava ripetere Enzo Tortora: il Bing Ben ha detto stop !

Il presidente Mattarella, pur paziente temporeggiatore, conferendo al presidente della Camera il mandato per esplorare se esistano margini per un accordo tra M5S e PD, ha inviato alle forze politiche un messaggio, forte è chiaro: il tempo è scaduto e se anche il tentativo di Roberto Fico dovesse fallire, il Capo dello Stato non attenderà oltre.

Al teatrino della politica, perciò, non resta altro che calare il sipario, ed i suoi attori si devono rendere conto che è tempo di usare il buon senso e di preoccuparsi del Paese e degli italiani.

Eppure, le cronache delle ultime ore rivelano che non tutti abbiano capito che il tempo delle sceneggiate si sia esaurito.

Per esempio, Salvini ha definito “una presa in giro” l’incarico conferito da Mattarella al presidente della Camera ed ha minacciata una “passeggiata” su Roma.

A fargli eco la forzista Anna Maria Bernini che ha dichiarato: “Un governo senza il centrodestra sarebbe un tradimento verso gli elettori italiani”.

Al di là della grave mancanza di rispetto istituzionale per il Capo dello Stato, Salvini e Bernini insistono ancora con la manfrina di un sedicente centrodestra presunto vincitore delle elezioni.

Dato e non concesso che sia ancora serio seguitare a parlare di centrodestra, quando non passa giorno che tra i partner non nascano dissapori, divergenze e tensioni, sarebbe logico domandare a Salvini e Bernini dove mai fossero mentre Berlusconi, pochi giorni fa, asseriva che se Lega e Fratelli di Italia andassero al governo: “al di là di quello che potrebbe succedere da noi, provocherebbero la fuga di imprese, la fuga di capitali, la fuga dei fondi di investimenti e quindi un disastro nei mercati azionari”.

A questo punto Salvini e Bernini o sconfessano le parole di Berlusconi oppure sono costretti ad ammettere che un governo di centrodestra sarebbe, quello sì, un tradimento ed “una presa in giro” per tutti gli italiani.

Anche il Partito Democratico, afflitto da contraddizioni e divisioni interne, sembra non aver colto l’appello del presidente Mattarella alla assunzione di responsabilità.

Trascorsi pochi minuti dal conferimento del mandato esplorativo a Fico, infatti, dal manipolo di gregari renziani si sono levate parole di totale chiusura nei confronti del possibile confronto con il M5S.

È anche vero, però, che molti esponenti della minoranza Dem si siano dichiarati favorevoli ad ascoltare le ipotesi di lavoro che proporrà Fico, ma soprattutto che questa disponibilità sia stata espressa dal segretario reggente Maurizio Martina.

La verità è che il PD continua ad essere ostaggio della ottusità infantile di Renzi e dei suoi seguaci, incapaci di ammettere che il tracollo elettorale del partito sia il risultato delle scellerate performance renziane nella gestione sia del governo che del partito.

Una ottusità che, salvi colpi di scena imprevedibili, potrebbe condannare al fallimento anche la missione del presidente della Camera.

Il mandato conferito a Roberto Fico sembra, invece, aver suonata la sveglia al M5S, e soprattutto al suo capo politico, Luigi Di Maio, che dopo settimane di infruttuoso corteggiamento dovrebbe essersi reso conto, finalmente, che Salvini non può, anche se lo volesse, separarsi non dal centrodestra bensì da Silvio Berlusconi.

Questa cecità intellettiva, prima che politica, fino ad oggi ha pregiudicato ogni abboccamento con il PD, il che potrebbe costituire un primo serio ostacolo al già difficile percorso esplorativo del presidente Fico.

Così come costituirebbe di certo uno scoglio la immatura intransigenza con cui Di Maio reclama per sè il ruolo di premier di un eventuale governo, escludendo qualsiasi altra candidatura.

Peraltro proprio Di Maio dovrebbe riflettere sugli effetti negativi che potrebbe provocare sul futuro del movimento un suo doppio ruolo di capo politico e di premier (NdR: al Nazareno ne sanno qualcosa!).

E se, a questo punto, il PD dichiarasse la sua disponibilità a sottoscrivere il contratto di governo a condizione che sia Roberto Fico il premier, Di Maio farebbe saltare il tavolo?

Per tutti è essenziale avere consapevolezza, perciò, che il Big Ben ha detto stop!