Se lo Stato non protegge i pentiti e i loro familiari, la lotta alle mafie è destinata a non essere incisiva. Lo Stato ha il dovere giuridico e morale di assicurare sicurezza e protezione a chi si affida a lui sfidando le mafie e denunciando i responsabili di orribili delitti.

L’arresto dei tre soggetti quali organizzatori ed esecutori materiali del delitto Bruzzese avvenuto a Pesaro il giorno di Natale del 2018 è un buon segnale di riscatto dello Stato. Sono state ricostruite le fasi in cui il progetto delittuoso è stato portato a compimento comprendendo anche come sia stato possibile permeare il sistema di protezione.

I killer hanno compiuto lunghi sopralluoghi per studiare le abitudini della vittima, servendosi, di documenti falsi e di una serie di accorgimenti utili a impedire la propria identificazione come le targhe contraffatte. L’attività di pedinamento ha riguardato anche i fratelli di Marcello Bruzzese, che a loro volta risiedevano in altre località protette. Li avevano contattati, infatti, con degli account web finti.

Dalle indagini è emersa la grande capacità di penetrazione della ‘ndrangheta anche in un territorio lontano dalla Calabria come quello pesarese. Come ho scritto e detto più volte ai collaboratori di giustizia, devono essere attribuite nuove generalità definitive. Questo serve per dare loro una nuova vita, ma soprattutto per sottrare loro e i familiari a rappresaglie e vendette cruente.

La loro precedente identità deve essere irrintracciabile (Casellario, Stato civile, Enti pubblici vari) poiché è l’unica garanzia della nuova identità e della nuova vita. Il figlio del pentito di ‘ndrangheta Luigi Bonaventura vorrebbe frequentare l’Università ma non gli è permesso farlo nella località protetta dove vive perché dovrebbe utilizzare il suo vero cognome. Nel caso in cui dovesse andare al di fuori dal luogo di protezione, non gli sarebbe più garantita la sicurezza.

Pur non avendo mai avuto alcun coinvolgimento con condotte mafiose del padre, ormai passate e pagate allo Stato, oggi sconta un prezzo profondamente ingiusto. Luigi era l’ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura di Crotone, ha fatto rivelazioni a tante Procure sparse per tutta l’Italia e continua ancora oggi ad essere utilizzato da varie Dda nelle nuove inchieste e nei processi in corso.

Nonostante il suo contributo è stata tolta la protezione alla sua famiglia ed è dovuto intervenire il TAR per riottenerla. Sono situazioni a dir poco sconvenienti e da evitare. I collaboratori di giustizia rimangono uno strumento irrinunciabile per il contrasto alle mafie: le loro rivelazioni hanno fatto fallire tentativi di omicidio, salvato vite umane, consentito di mappare beni da confiscare, arrestare gli autori di un numero impressionante di traffici di droga, di crimini gravissimi, tra cui le stragi di capaci e Via d’Amelio e quelle di Firenze, Roma, Milano.

Stiamo molto attenti a non abbandonarli assieme alle loro famiglie poiché questo costituirà una falla difficilmente rattoppabile al sistema di protezione di chi collabora con la giustizia, con logica conseguenza di uno stop intollerabile a tutto vantaggio delle mafie.


Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E' ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.