Molti degli eventi che sembrano interessare solo un individuo, in realtà, sono questioni spesso di interesse collettivo. Le posizioni individuali riflettono le posizioni ricoperte nella società.
Quindi una riflessione sociologica sul suicidio di Giada, la ragazza che si è tolta la vita poiché grande era il peso della bugia che portava sulle spalle, è d’obbligo. La domanda che si pongono tutti è riuscire a capire i motivi che hanno spinto questa ragazza a togliersi la vita, e come lei tanti altri universitari e studenti.
Émile Durkheim è stato uno dei più importanti sociologi ad occuparsi del tema del suicidio, e nel presente articolo si prendono in considerazione alcune accezioni del tema dell’anomia: quando le azioni degli individui non sono più regolate, non hanno più una strada tracciata da seguire, gli individui stessi iniziano ad avere obiettivi fuori la loro portata, si pongono cioè mete oltre i loro limiti, fino ad abbandonarsi alla scalata del desiderio.
Ciò espone al rischio, all’incertezza, e conseguentemente al fallimento. Il peso del fallimento è stato purtroppo per Giada tragico, il fallimento per non essere riuscita ad essere come gli altri, poiché in questa società malata non c’è posto per chi non “arriva”. Viviamo in un mondo che non accetta i secondi posti, una società pronta a giudicare chi non riesce a scalare le vette più alte dei poteri sociali, e siamo costretti a sentirci importanti solo se godiamo di un certo prestigio.
Per Giada e tanti altri, vivere in questa società che premia soltanto i “migliori”, è stato duro e difficile poiché troppo grande era il peso del ruolo che si era cucita per non essere giudicata. Questi ragazzi hanno recitato una parte nel grande e logorante gioco del consenso sociale, nell’intento di dare un’immagine di loro stessi che pensano sia conforme alle aspettative sociali degli altri attori, anche se in discrepanza con le aspettative personali e intime. Nasce un processo di attivazione di immagini favorevoli nei confronti degli altri, poiché nel mercato dei pari e della competizione , l’individuo cerca sempre di essere riconosciuto e stimato dagli altri.
Come Émile Durkheim , ci auspichiamo il sorgere di una società in cui gli individui siano guidati da un sistema di valori, di norme, e soprattutto da una morale che inciti e inviti ad essere soddisfatti ognuno della posizione che pensa di occupare nella società, una posizione che non deve essere sempre accompagnata dal raggiungimento del successo sociale. Ci sforziamo di piacere a tutti i costi agli altri, davanti a uno specchio cerchiamo di essere sempre all’altezza di qualcuno, ma se ci pensiamo, quanto ci sforziamo di piacere a noi stessi?
Giada è in ognuno di noi, per quello che ci ha lasciato e insegnato, una ragazza che come ogni essere umano aveva paura di essere giudicata, aveva paura di sentirsi inadeguata, aveva paura di non essere “brava” abbastanza, aveva paura di deludere le ambizioni e desideri di amici e parenti. Si spera che questo ultimo gesto abbia dato una lezione di vita importante a tutti, perché avere a tutti i costi il consenso degli altri, al punto di non ammettere un problema, una difficoltà, può portare anche ad azioni fatali.
Lo stato di disagio che provocano alcuni attori sociali nei confronti di altri, solo perché si è in disaccordo con le espressioni dominanti nella società, attiva un processo di trasformazione del consenso in conformismo che porta a indifferenza, rassegnazione, a uno pseudo-consenso basato sulla repressione della propria personalità. Se il consenso sociale è avere un riconoscimento da parte della società, allora facciamo in modo che gli altri ci accettino per come siamo e non come vorrebbero che fossimo. Abbiate in coraggio di dire sempre la verità, anche la più scomoda, anche se difficile, e amatevi così come siete.