Estratto da intervista di Caroline Bordeq 

Per il criminologo il più grande errore commesso dalle istituzioni italiane deputate alla lotta del crimine organizzato è stato quello sottovalutare per molto tempo la pericolosità dei clan dell’area foggiana.


Professore perché secondo lei la cd. “Quarta mafia” è stata così a lungo sottovalutata?

Perché nessuno mai ha acceso i riflettori su questo fenomeno criminale che però esisteva da oltre cinquant’anni. È stata sottovalutata, studiata male e ancor peggio compresa. Fino a pochi anni fa era ritenuta una mafia pastorale e localizzata. Il 9 agosto 2017 con la strage di San Marco in Lamis (furono assassinati il boss Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, testimoni dei due omicidi) gli italiani la scoprono per la prima volta e ne conoscono la ferocia. I clan nel tempo si sono evoluti infiltrandosi nel sistema politico e nel tessuto economico. A Foggia sono gli imprenditori che decidono di pagare il pizzo prima ancora che gli sia espressamente richiesto dai clan.


Lei sul quotidiano “Huffington Post” l’ha definita un'emergenza nazionale perché?

Non solo io. Dopo di me è stato dello stesso parere anche il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho. Le cosche sono diventate mutue assicuratrici e imprenditrici. Operano in diversi settori. Sono divenute leader nazionali nel traffico di hashish e marijuana, con collegamenti e interessi in Albania, nel nord e nell’est Europa. È un’emergenza perché nelle sue quattro estrinsecazioni criminali – sanseverese, garganica, foggiana, cerignolese - è una mafia che fonde in se violenza e corruzione. Usa la prima verso gli imprenditori e il tessuto sociale e la seconda nei confronti della politica e della pubblica amministrazione. Tutte queste peculiarità fanno della “Quarta mafia” una vera emergenza nazionale.


Tantissimi morti sul campo, da esperto, le chiedo: è battibile questa mafia?

Non lo sarà fino a quando i collusi e i professionisti di dubbia moralità aiuteranno queste mafie nelle attività riguardanti la gestione pubblica e privata ottenendo poi il proprio tornaconto. Fino a quando i mafiosi riusciranno a piazzare i loro uomini di fiducia nelle posizioni di responsabilità della pubblica amministrazione ottenendo così risultati sia in termini di servizio sia economici e finanziari. Fino a quando le persone non prenderanno seriamente coscienza di questo fenomeno criminale. Fino a quando esisteranno forme di omertà, indifferenza e silenzio. Oltre la mafia occorrerà sconfiggere anche la "mafiosità" che a oggi è il più affidabile e stretto alleato delle mafie.


Professore ma come si può creare un fronte sociale contro questa mafia?

In primis occorre un forte impegno dello Stato nelle politiche sociali di questi territori. Su questo fronte purtroppo il percorso è ancora lungo e difficile. Occorre senza dubbio un impegno corale anche su altri livelli. Su quello educativo, ad esempio, fondamentale è il ruolo della scuola. Su quello repressivo, occorrono uomini e mezzi e un’adeguata formazione nella lotta alle nuove forme evolutive che assume la moderna criminalità organizzata. Su quello preventivo importante è l’associazionismo antimafia soprattutto allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica creando un presidio culturale contro la criminalità organizzata locale. La mia speranza, da foggiano per parte materna, è che i cittadini che in questa terra credono si sveglino e comprendano che tutti uniti possono sconfiggere questa mafia. Mi auguro davvero che si arrivi presto a far prevalere i valori dell’onestà e della legalità. Occorre che ognuno di noi faccia il proprio dovere. C’è bisogno di mettere da parte l’omertà, l’indifferenza, la scelta di dire “tanto non tocca me”. Prima o poi se tu non t’interessi delle mafie, saranno loro a interessarsi di te. Senza questi comportamenti civici la mafia purtroppo può solo crescere.


A chi rivolgerebbe il suo messaggio finale al termine di questa intervista?

Ovviamente ai giovani. A loro vorrei inviare un messaggio e al tempo stesso un insegnamento. Alla sottocultura mafiosa dovrete rispondere con la cultura dell’impegno e della conoscenza. Dovrete comprendere che l’informazione e la presa di coscienza saranno i vostri anticorpi per impedire l’attecchire del virus mafioso. Prima ancora che un fenomeno criminale, le mafie sono fenomeni culturali. Alla sottocultura mafiosa si risponde con lo studio e il vostro impegno sociale. Questo è il mio messaggio e voglio trasmetterlo ai giovani come operatore nel settore sociale, culturale e educativo. Sono stato più volte nelle scuole della provincia di Foggia e tornerò ogniqualvolta sarà richiesto il mio contributo.


Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.